L’Aquila sprofonda nel grande freddo dopo la sentenza

11 novembre 2014, 19:40 100inWeb | di Vito Barresi

di Vito Barresi

Ritorno a L'Aquila dopo la sentenza della Corte d'Appello che ha assolto i membri della Commissione Grandi rischi, coloro che parteciparono alla riunione voluta dal capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, il 31 marzo 2009. C'è un grande freddo nei paesi e nel capoluogo tormentato e offeso dal sisma, un gelo che ghiaccia i sentimenti e fa precipitare nell'era glaciale la memoria collettiva e la verità popolare. Alla fine di marzo, in seguito allo sciame sismico che da diversi mesi interessava l’Abruzzo, su richiesta di Bertolaso si riuniva a L'Aquila la Commissione Nazionale Grandi Rischi. Franco Barberi, presidente della Commissione ed Enzo Boschi, con altri esperti, analizzarono tutte le informazioni e le indicazioni, stabilendo che non era assolutamente prevedibile alcuna situazione di terremoto più violenta rispetto a quelle che erano state registrate nei giorni precedenti.

Prima della scossa fatale Giampaolo Giuliani, in qualità di cultore della materia, aveva sostenuto che lo sciame sismico poteva essere il preannuncio di un evento più forte. Lo accusarono di allarmismo. Ancora oggi ci si domanda se quella del tecnico fu solo la banale profezia di un dilettante? Giuliani ricevette persino un avviso di garanzia. “Sono stati Boschi e Bertolaso, dai quali vorrò le scuse per tutti i morti che ci sono stati oggi a l’Aquila, perché hanno dichiarato il falso domenica scorsa e ho i testimoni. Le loro dichiarazioni sono false. La mia previsione purtroppo era giusta. Ma figuriamoci se questi ascoltano qualcuno. Figuriamoci. Non mi faccia dire di più.” In diretta televisiva il portavoce della Protezione civile replicò a muso duro: “non abbiamo sottovalutato il problema. Nei giorni scorsi si è riunita la Commissione Sismica Grandi Rischi e nel verbale redatto, com’è logico che sia, non hanno ritenuto di lanciare alcun allarme sull'arrivo di terremoti.”

Boschi ribadiva che era falso, scientificamente falso, poter fare una previsione sui terremoti. Quello che si poteva fare era invece la prevenzione e l’identificazione delle aree a rischio.

Sul punto Bertolaso fu lapidario. Una scossa così violenta non era assolutamente prevedibile. Non si era in possesso di nessun elemento tecnico e scientifico in grado di dare indicazioni precise sul reale rischio di terremoti e gli indicatori che erano stati individuati da alcuni non erano attendibili. Quando all’alba di lunedì 6 aprile, alle ore 3.32, dai crolli si alzò polvere e dolore, in molti ricordarono la strana ‘profezia’ di Giampaolo Giuliani, il tecnico del laboratorio del Gran Sasso che nelle settimane precedenti aveva invocato l’allerta pubblica. Lo stesso che aveva allestito in proprio una rete di rilevazione artigianale, e che di fronte all'aumento delle emissioni di radon registrate intorno alla mezzanotte del 5 aprile, insieme con la famiglia, decise di abbandonare il proprio appartamento e passare la notte all’addiaccio. A volte coloro che vengono sbrigativamente stigmatizzati come apparenti disfattisti hanno dalla propria parte motivi logici molto validi e talvolta anche ragione. Giorgio Napolitano raggiunse Coppito. Per un’ossequiosa visita si recò nell’autorimessa adibita a obitorio, in cui vennero allineate le bare, prima di essere trasportate altrove per la cerimonia di Stato. Il Presidente rese omaggio alle vittime varcando da solo la soglia di quell'immensa camera mortuaria. Incontrò famiglie distrutte raccolte in una preghiera piena di dignità. C’era un sacerdote, qualche scout, un silenzio di profonda commozione. Una madre che perse il figlio, abbracciando con la disperata forza dell’amore il fratello sopravvissuto, disse che le era rimasto solo quello. Poi il lembo che celava la tragedia si tramutò in un incontenibile e impercettibile velo di pianto. Spietato come la realtà più non nascondeva allo sguardo quel piccolo legno bianco adagiato su una bara più grande. Mezzo metro d’ingombro, un urna accatastata sul feretro di mamma e papà. Quasi risalì dall’immemore l’eco salmodiante di un requiem, il pianto degli dei che ossequiavano l’infantile gioia spezzata della più piccola vittima del terremoto, Antonio Ivan, di nazionalità rumena, neanche cinque mesi di innocente passaggio in terra.

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