Il controllo dei clan sul porto di Gioia Tauro. Maxi blitz: arresti e sequestri, in manette imprenditori reggini

Reggio Calabria Cronaca

E’ in corso di esecuzione dalle prime luci dell’alba di oggi una imponente operazione, denominata Porto Franco, da parte degli uomini della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e che ha portato a disarticolare una presunta associazione di stampo mafioso composta da imprenditori considerati affiliati alle più importanti cosche di ‘ndrangheta della piana di Gioia Tauro. Le 13 le ordinanze di custodia cautelare e sequestrate 23 società e beni per un valore complessivo di circa 56 milioni di euro. Effettuate oltre cinquanta perquisizioni in Calabria, Veneto e Lombardia.

I reati contestati sono quelli di associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio di proventi di illecita provenienza, trasferimento fraudolento di valori, contrabbando di gasolio e di merce contraffatta, frode fiscale, attraverso l’utilizzo ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Reati aggravati dalle modalità mafiose.

Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica, Direzione Distrettuale Antimafia, avrebbero accertato l’esistenza di rilevanti infiltrazioni delle potenti cosche di ‘ndranghetaPesce” e “Molè” nell’indotto del terziario che opera nell’area portuale della piana di Gioia Tauro, con particolare riferimento ai servizi connessi al traffico mercantile generato dallo scalo marittimo e con la conseguente “indebita percezione di rilevanti illeciti profitti”.

I dettagli dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza che si terrà oggi, alle 10.30, presso il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria alla presenza del Procuratore Capo della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho.


10:58 l Con il provvedimento cautelare nei confronti dei 13 indagati, le Fiamme Gialle stanno procedendo nei confronti degli esponenti di due cosche reggine di ‘ndrangheta (i Pesce e Molè) responsabili, secondo gli inquirenti, di associazione per delinquere di stampo mafioso nonché dei reati di riciclaggio di proventi di illecita provenienza, di trasferimento fraudolento di valori, contrabbando di gasolio e di merce contraffatta, di frode fiscale, attraverso l’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e di omesso versamento delle ritenute previdenziali, tutti aggravati dalle modalità “mafiose”.

IL CONTROLLO “SOFFOCANTE” SUL PORTO ED IL RUOLO DEGLI IMPRENDITORI

Le complesse attività di polizia giudiziaria traggono spunto dall’esecuzione di verifiche fiscali avviate nei confronti di imprese che operano nel settore dei trasporti e servizi connessi da e per il Porto di Gioia Tauro. Nel corso delle investigazioni sono stati acquisiti - secondo gli inquirenti - “concreti e significativi elementi indiziari circa la riconducibilità dei relativi titolari alle predette cosche di ‘ndrangheta”.

L’indagine avrebbe dimostrato, in buona sostanza, come la cosca Pesce si sarebbe infiltrata nel tessuto economico caratterizzato dai servizi connessi all’imponente operatività del porto di Gioia Tauro (che oltre a costituire una delle porte di ingresso in Europa rappresenta uno snodo cruciale dell’economia calabrese) ed eserciterebbe tuttora un soffocante controllo sulle attività economiche presenti nella zona portuale, dirette ad assicurare all’organizzazione, in ultima analisi, ingenti risorse finanziarie, mirando poi a ripulire i proventi dei reati consumati, grazie anche all’ausilio di soggetti estranei.

La complessiva attività avrebbe consentito di portare alla luce l’ingegnoso e asfissiante sistema di controllo dei servizi connessi alle operazioni di import-export e di trasporto merci per conto terzi realizzato dalle cosche nel porto di Gioia, la cui estensione ricade in ben due comuni, San Ferdinando e Gioia Tauro, nonché di ritenere provata l’appartenenza all’organizzazione criminale di stampo mafioso di soggetti, fino ad ora non coinvolti in altre operazioni di polizia.

LA PAURA, ARMA DELLA COSCA

Si tratta di tutti i preposti alla gestione delle imprese dell’organizzazione che hanno rivestito un ruolo determinante dapprima nell’acquisizione dei proventi di attività estorsive, perpetrata attraverso l’imposizione a imprese terze dell’obbligo di contrattare esclusivamente con loro, facendo leva sulla forza intimidatrice di cui disponevano. Infatti, come tutte le organizzazioni di stampo mafioso attualmente operanti, la caratteristica della cosca Pesce consisterebbe nella circostanza che, a causa della “fama” acquistatasi nel tempo con atti di violenza o minaccia a danno di chiunque ne ostacoli l’attività, sarebbe ormai in grado di incutere timore per la sua stessa “esistenza”.

Successivamente il ruolo di queste aziende e, quindi, dei rispettivi rappresentanti legali sarebbe stato quello di crearsi disponibilità di risorse liquide, attraverso la contabilizzazione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, da corrispondere agli elementi di spicco delle cosche Pesce e Molè.

Le persone intranee alla “cosca”, sfuggite alle precedenti operazioni, avrebbero assunto compiti e incarichi attinenti agli interessi dell’organizzazione, sia economici ovvero di infiltrazione e controllo del tessuto imprenditoriale del territorio di influenza con particolare riguardo ai servizi connessi al traffico commerciale generato dal Porto, che finanziari di acquisizione sicura dei relativi proventi, mediante l’attuazione di sopraffine tecniche di riciclaggio.

Ciò sarebbe stato reso possibile sia attraverso fittizie intestazioni di società a persone terze, direttamente riconducibili ai vertici della cosca “Pesce” sia mediante il ricorso all’utilizzo di fatture false emesse prevalentemente da distributori stradali e da società cooperative nei confronti delle aziende di trasporto riconducibili alla cosca “Pesce”.

COI DISTRIBUTORI DI CARBURANTE GARANTITA LA LIQUIDITÀ ALLA COSCA

In particolare è stato dimostrato che i distributori di carburante non erano i veri beneficiari degli assegni, ma si limitavano a monetizzarli, in quanto la relativa provvista veniva incassata da esponenti di primo piano della cosca. Tale modus operandi, grazie alla liquidità di cui dispongono normalmente i distributori al dettaglio di carburante, ha consentito all’organizzazione di acquisire concretamente i proventi dell’attività illecita, di dare agli stessi la parvenza di una lecita attività commerciale (acquisto di carburante) e di ottenere l’immediata liquidità attraverso il cambio del titolo operato dai distributori, di modo che non venissero identificati i reali beneficiari dei titoli stessi.

In più, le indagini avrebbero consentito di appurare che la cosca Pesce avrebbe perseguito e consumato anche reati di contrabbando, consistenti nell’importazione di merce contraffatta dalla Cina in evasione di dazi e diritti doganali. Infine, gli approfondimenti investigativi eseguiti nei confronti delle aziende di trasporto riconducibili alla cosca “Pesce”, alcune delle quali operanti nel Nord Italia, in particolare a Verona, avrebbero evidenziato l’utilizzo di imprese cooperative che si sono interposte tra esse e i clienti finali. Infatti, le cooperative di lavoro hanno avuto quale unico scopo quello di fornire uno schermo giuridico alle imprese ritenute della “cosca”, le quali, una volta “esternalizzati i propri lavoratori, facendoli solo formalmente assumere dalle cooperative, e fittiziamente ceduto in comodato i mezzi d’opera alle stesse – spiegano gli inquirenti - hanno continuato a operare direttamente non preoccupandosi più del pagamento degli oneri erariali che gravavano interamente sulle false cooperative. Le stesse cooperative avrebbero successivamente fatturato alle imprese beneficiarie della frode prestazioni di servizi, simulando inesistenti contratti, e così consentendo loro la fraudolenta contabilizzazione dei relativi costi ed Iva a credito. Le cooperative di lavoro si sarebbero rivelate così delle società di fatto inesistenti, interposte al fine di caricarsi tutti gli oneri impositivi (in termini di II.DD. ed IVA dovuta), contributivi e previdenziali che, secondo gli investigatori, non sono stati mai assolti. Infatti, le cooperative sarebbero state di fatto “scatole vuote” che avrebbero cessato l’attività dopo breve tempo e i loro rappresentanti risultati presunti prestanome nullatenenti.

IL NUOVO MODO DI “FARE MAFIA”: L’IMPRENDITORIA

L’indagine portata a termine dalle Fiamme Gialle reggine denoterebbe, ancora una volta, un moderno quadro dell’imprenditoria ‘ndranghetista e un nuovo modo di “fare mafia”, dove, non creando allarmismi sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica, si creano vincoli di affiliazione derivante da un’unica matrice: il denaro e l’ingiusto arricchimento. Tutto questo con una totale trasposizione delle consuetudinarie modalità mafiose nel mondo dell’imprenditoria e dell’economia legale falsando il libero mercato e la leale concorrenza tra imprese.

IN CONCLUSIONE, il condizionamento dei settori più produttivi dell’economia locale, prima affidato solo ai proventi delle estorsioni a tappeto, si è trasformato, giovandosi del processo di modificazione delle locali famiglie di ‘ndrangheta, che hanno acquisito una vocazione direttamente imprenditoriale e che operano trasversalmente, quasi sempre dietro il paravento di prestanome, direttamente nei singoli settori economici infiltrati.

GLI ARRESTATI ED I BENI SEQUESTRATI

Sulla scorta dei gravi elementi indiziari raccolti oggi sono stati eseguiti in Calabria, Veneto e Lombardia - dunque - i seguenti provvedimenti, emessi dall’Ufficio Gip del Tribunale di Reggio Calabria: 13 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di: Salvatore Pesce, del 1988; Gaetano Rao del 1955; Marco Mazzitelli del 1983; Giuseppe Comande del 1983; Domenico Franco del 1957; Giuseppe Franco del 1960; Antonio Franco del 1962; Francesco Rachele del 1941; Salvatore Rachele del 1978; Rocco Rachele del 1968; Bruno Stilo del 1966; Domenico Canerossi del 1967; Nicola Filardo del 1959.

Sono stati eseguiti 23 sequestri preventivi dell’intero patrimonio aziendale nei confronti di:Meridional Trasporti Dei F.Lli Franco E Luccisano Salvatore S.n.c.; Mediterranea Trasporti di Macrì e D’Agostino S.n.c.; Universal Transport & Shipping S.a.s. di Zungri G. & C.; Ditta individuale “La Rosarnese Di Rachele Francesco”; Ditta individuale SIBIO Domenico; Ditta individuale Comande’ Giuseppe; F.C. Immobiliare S.r.l.; Ferpetroli Service S.r.l.; Ditta individuale “Autosud Di Filardo Nicola”; Ga.Ri. S.a.s. di Gianluca Gaetano e C.; Punto Uno Ingross Unipersonale S.r.l.; Ditta individuale Chindamo Giuseppe; Ditta individuale Di Bartolo Salvatore; Tranz Veicom S.r.l.; Verotransport S.r.l.; Italspeedy Logistic S.r.l.; Luccisano Trasporti S.r.l.; Cooperativa Solidarietà e Servizi Soc. Coop. A R.L.; Cooperativa Servizi e Solidarietà Soc. Coop. A R.L.; Work Progress Società Cooperativa Sociale A R.L. .; Truck Drivers Società Cooperativa; Global Transport Services Società Cooperativa ; Global Service Società Cooperativa.

Conclusivamente, nell’operazione “Porto Franco” si è proceduto all’esecuzione di 13 ordinanze di custodia cautelare in carcere, al sequestro del patrimonio aziendale di 23 imprese per un valore stimato di circa 56 milioni di euro e ad effettuare circa 50 perquisizioni, con l’impiego di oltre 200 militari della Guardia di Finanza.


'NDRANGHETA: I BOSS PESCE, "CLAN ARCAICO, SERVONO METODI NUOVI"

h 18:22| Abbandonare la 'ndrangheta arcaica e darsi all'imprenditoria mafiosa. Questa la strategia della cosca Pesce secondo quanto è emerso nell'indagine denominata "Porto Franco" che ha portato stamani la Guardia di Finanza a eseguire 13 arresti e a sequestrare beni per circa 56 milioni di euro. Nei colloqui intercettati tra Antonino e Francesco Pesce, infatti, i due concordavano nel valutare negativamente un approccio arcaico alla gestione dell'associazione, troppo legato ai vecchi schemi ed agli antichi rituali della 'ndrangheta, da parte dei fratelli.

Espliciti, al riguardo, sono stati gli incoraggiamenti rivolti da Antonino Pesce al figlio Francesco, di affrancarsi dal vecchio modo di gestire l'organizzazione, improntata a sistemi ritenuti arcaici e superati, e privilegiare, invece, rapporti e soprattutto gestioni patrimoniali capaci di proiettare il gruppo oltre i vetusti e tradizionali schemi della criminalità mafiosa, per aprirsi, invece, ad un approccio tale da consentire alla cosca di relazionarsi alla pari con i protagonisti dell'imprenditoria lecita. (AGI)