Traffico di droga, sequestro e schiavitù: 16 arresti in Calabria, Olanda e Germania

Reggio Calabria Cronaca

16 arresti sono in corso di esecuzione a carico di presunti appartenenti alla ‘ndrangheta, in particolare alla cosca “Cacciola” che opera nel centro di Rosarno, nel reggino. I destinatari sono ritenuti dagli investigatori responsabili, a vario titolo, dei reati di traffico internazionale di cocaina, sequestro di persona e riduzione in schiavitù.

L’operazione Mauser, così come è stata denominata, è stata eseguita dai Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria in cooperazione con la polizia olandese e tedesca. Le 16 ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal Gip di Reggio su richiesta della Procura della Repubblica, Direzione Distrettuale Antimafia.

I fatti, che sarebbero stati accertati fin dal 2006, spiegano gli inquirenti, avrebbero documentato oltre “allo stabile inserimento di molti dei soggetti arrestati nel traffico delle sostanze stupefacenti, con diversi sequestri di svariati kg di cocaina purissima” importati dall’Olanda, anche quelle che vengono definite come le “dinamiche relazionali interne alla famiglia Cacciola, “dove - spiegano ancora i militari - grazie al contributo di una collaboratrice di giustizia (Maria Concetta Cacciola, ndr) sarebbe “stata fatta luce su di una serie di comportamenti vessatori e di riduzione in schiavitù da parte della sua stessa famiglia”. Alla donna, costretta alla segregazione, sarebbestata imputata la colpa del suicidio del marito, appartenente al gruppo criminale, avvenuto per circostanze mai del tutto chiarite.

AGGIORNAMENTO:

L’attività investigativa in esame - avviata nell’ottobre del 2006 - avrebbe messo in luce, da un lato la commissione di reati contro la persona nei confronti della collaboratrice di giustizia Giuseppina Multari commessi da appartenenti alla famiglia Cacciola di Rosarno, dall’altra l’esistenza di uno stabile sodalizio criminale dedito alla commercializzazione di sostanza stupefacente, insediato sul territorio della provincia di Reggio Calabria, con ramificazioni in nord Europa, organizzato da membri delle famiglie Cacciola e Curmace.

L’attività investigativa sarebbe stata mossa dalle dichiarazioni rese da Giuseppina Multari- oggi collaboratrice di giustizia destinataria di misure di protezione - la quale, dopo il suicidio del marito Antonio Cacciola, avvenuto il 13 novembre 2005, avrebbe fornito informazioni su una serie di attività criminali riconducibili a soggetti facenti capo alle famiglie Cacciola-Curmace. In particolare, in data 30 settembre 2006, il padre della collaboratrice di giustizia, Francesco Multari, avrebbe consegnato una lettera fattagli pervenire dalla figlia Giuseppina, in cui la stessa rappresentava la difficile situazione in cui era stata costretta a vivere dopo la morte del marito, Antonio Cacciola, presso l’edificio in cui dimorava la famiglia del marito.

I REATI COMMESSI AI DANNI DELLA COLLABORATRICE DI GIUSTIZIA MULTARI GIUSEPPINA

Nella missiva,-fa sapere la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria -in particolare,Giuseppina Multari avrebbe riferito di continue limitazioni alla propria libertà di autodeterminarsi e di continue minacce subite ad opera del suocero Domenico Cacciola e del cognato Gregorio Cacciola.

In verità Giuseppina Multari avrebbe subito costanti maltrattamenti già dal marito e, in seguito al “suicidio” dello stesso, dal suocero che l'avrebbe costretta a rispettare le sue imposizioni vessandola continuamente e attribuendole la colpa del suicidio del marito.

Nelle sue indicazioni Giuseppina Multari -prosegue la nota- avrebbe anche espresso la forte preoccupazione, vissuta durante la convivenza con la famiglia Cacciola, per aver intuito la loro volontà di occuparsi in via esclusiva delle bambine.

Il fattore oggettivo della privazione della libertà personale, attuata da Domenico Cacciola con minacce esplicite e no, si riscontrava indirettamente anche dalle conversazioni intercettate, poiché si registrava il timore della famiglia Multari per le probabili ritorsioni dei Cacciola anche nei confronti di soggetti a loro vicini. Il timore di una ritorsione anche nei confronti del fratello della Multari, residente in Germania, infatti era così forte che il padre gli consigliava di tutelarsi con un’arma e di attivarsi per ostacolare eventuali azioni della famiglia Cacciola nei suoi confronti. I Multari temevano anche gli appartenenti alla famiglia Curmace (residenti in Germania) e che questi potessero rivelare ai Cacciola il luogo dove abitava Antonio Multari, poiché alleati dei Cacciola.

L’accanimento di tutta la famiglia Cacciola sarebbe stato raccolto, anche, in alcuni messaggi e si manifestava nel tentativo che questi facevano di prendere contatto con la Multari per scoprire la località dove era stata trasferita, poiché sottoposta a protezione.

Michele Cacciola, padre di Giuseppe (arrestato) e della defunta collaboratrice di giustizia Maria Concetta e cugino di Domenico Cacciola, sarebbe riuscito a individuare una delle figlie di Giuseppina Multari, che in quel periodo era ricoverata, a causa di una patologia, presso il nosocomio “Gaslini” di Genova. Dopo avere ricevuto la notizia dell’individuazione della minore, i membri della famiglia Cacciola si attivavano e Francesco Cacciola, raggiungeva il suddetto ospedale, mentre il resto della famiglia cercava di averne conferma chiamando l’ospedale e altri nosocomi per individuare altri appuntamenti eventualmente presi dalla Multari.

Multari, dal 2 ottobre 2006, rendeva dichiarazioni su attività illecite commesse dai parenti del marito, consentendo il rinvenimento di numerose armi e munizioni anche da guerra (sia abilmente occultati, che nella pronta disponibilità dei Cacciola), denaro, sostanza da taglio e di un bunker destinato alla latitanza di Gregorio Bellocco e forniva una serie di elementi che permettevano di avviare una intensa attività investigativa, soprattutto estrinsecatasi in attività di intercettazione, su membri della famiglia Cacciola e su soggetti ad essi collegati.

In sintesi, - si legge nella nota - sono state documentate una serie di circostanze, quali: la costrizione a casa Cacciola imposta a Giuseppina Multari; le difficoltà poste alla donna nei rapporti con la famiglia di origine; le continue violenze psicologiche; la minaccia di occuparsi delle bambine in via esclusiva, desumibile dagli atteggiamenti dei Cacciola; le mancate cure prestate alla Multari; le minacce di morte esplicite rivolte alla collaboratrice; il precario stato di salute generale della donna allorquando veniva prelevata in data 02.10.2006 dalle FF.PP., che si presentava fortemente svigorita nel fisico e terrificata nell’animo, che concorrono nell’affermare che Giuseppina Multari era sottoposta a pesanti vessazioni e privazioni sia fisiche che di sostegno morale.

All’esito di un’ulteriore attività istruttoria sviluppata nel 2013, si è provveduto alla escussione della collaboratrice di giustizia e dei genitori della donna: Concetta Piromalli e Francesco Multari. Tale attività avrebbe consentito di aggravare le responsabilità penali dei Cacciola e di ampliare il numero di coloro che hanno concorso nel reato.

L’attività di indagine sopravvenuta, infatti, ha consentito di riqualificare le condotte antigiuridiche contestate ai Cacciola nel reato di “riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù”, perché, in concorso tra loro, mediante violenza e minacce, esercitavano su Giuseppina Multari, poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà, riducendola in uno stato di soggezione continuativa.

Le eloquenti dichiarazioni della donna circa lo stato di prostrazione fisica ed emotiva in cui sarebbe stata costretta a vivere (che l’avrebbe indotta a tentare il suicidio la notte del 11 febbraio 2006) risulterebbero graniticamente confermate dalle dichiarazioni rese dai genitori, i quali, pur non sottacendo il vero e proprio stato di terrore che aveva pervaso l’intero nucleo familiare in questa fosca vicenda, hanno confermato le circostanze riferite dalla collaboratrice di giustizia.

Nel caso di specie, il grave quadro indiziario raccolto dimostra che gli indagati avrebbero esercitato su Giuseppina poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà, limitandone la libertà di locomozione ed annientandone, con espresse minacce e violente pressioni psicologiche, la capacità di autodeterminazione.

Dalla morte del marito, Giuseppina Multari sarebbe stata, infatti, sottoposta ad una serie reiterate e crescente di minacce e violenze psicologiche. Tutto aveva avuto origine dal suicidio del giovane Antonio, Domenico Cacciola, ritenendone responsabile la nuora, aveva aggredito fisicamente la nuora, strattonandola e minacciandola di morte. Da quell’evento, già di per sé così traumatico, la vita di Giuseppina Multari era stata segnata da un incredibile crescendo di vessazioni psicologiche, privazioni, divieti, costrizioni.

Alla giovane donna sarebbe stato impedito di uscire da casa, se non accompagnata da uno dei membri femminili della famiglia, ossia, la suocera Teresa D’agostino e la cognata Maria Cacciola. Persino a piangere sulla tomba del marito (nei confronti del quale Giuseppina Multari ha ammesso essere stata molto innamorata) le era stato vietato, se non accompagnata dalle sue solerti carceriere. Le era stato impedito di accompagnare le figliolette a scuola e di scegliere il medico da cui farsi curare. Persino i contatti con la madre erano controllati dalla famiglia Cacciola, che ne determinava rigorosamente il “tempo massimo”, coincidente con la chiusura del portone d’ingresso per la notte.


L’ASSOCIAZIONE FINALIZZATA AL TRAFFICO DI SOSTANZE STUPEFACENTI

Le indagini sono state condotte su un nutrito gruppo di soggetti, via via individuati nel corso delle indagini, articolatosi ed organizzatosi in forma associata. Il centro di "interessi" principale del sodalizio criminale va individuato certamente a Rosarno - luogo di consumazione del reato associativo - in quanto residenza di Giovanbattista Cacciola, che sarebbe il principale protagonista dell’intera vicenda criminale, presunto promotore ed organizzatore dell’associazione e soprattutto poiché luogo in cui veniva organizzato il traffico - unitamente a Mercurio Curmace e Girolama Curmace - e smistato lo stupefacente proveniente dal nord Europa per la successiva distribuzione.

L’attività investigativa avrebbe portato alla luce importanti elementi a carico di Girolama Curmace alias "‘Mommina" residente in Germania, dove gestiva una pizzeria (la Locanda di Mina) e che viaggiava con sistematica frequenza tra la Calabria e la Germania avvalendosi, per il traffico di stupefacenti, oltre che del fratello Mercurio, anche di altri membri facenti parte dell’organizzazione, tutti residenti in Germania, che collaboravano con la stessa anche nella gestione delle attività commerciali a Dusseldorf.

L’attività di indagine avrebbe consentito di dimostrare come i promotori dell’associazione, i Cacciola, avrebbero gestito l’importazione di ingenti quantità di cocaina dall’estero attraverso basi logistiche in Germania ed in Francia grazie ad una efficace rete criminale, armata e ben organizzata. Le attività di intercettazioni e l’avvio della cooperazione con la polizia giudiziaria tedesca hanno permesso di comprendere che lo stupefacente veniva trasportato a Rosarno attraverso un consolidato sistema che veniva ripetuto con cadenza mensile e che prevedeva l’acquisto di sostanza stupefacente dall’Olanda, il successivo trasporto attraverso auto prese a noleggio, prima presso la base logistica in Germania e poi a Rosarno. Una volta capito il modus operandi è stato possibile effettuare attività di riscontro che hanno avuto esito positivo.

Il 13.08.2008, infatti, a Rosarno sono stati sottoposti a perquisizione Mercurio Curmace e la sorella Girolama, alla giuda di una Seat Leon noleggiata in Germania, al cui interno venivano rinvenuti, ben occultati all’interno di una cavità sottostante il paraurti posteriore, nr. 14 panetti dal peso complessivo di circa 15,7 kg., confezionati con cellophane e nastro isolante di colore nero, con all’interno cocaina.

Il 17.09.2008, ancora, è stato rinvenuto e sequestrato in Francia un nuovo carico di cocaina (circa 5 kg), ad opera della Polizia Francese nei confronti di due indagati.

Riassumendo, l’attività di indagine avrebbefatto emergere che la famiglia Cacciola gestisce in qualità di organizzatori e finanziatori il traffico di cocaina, che attraverso membri dei Curmace - De Maria (base logistica) in Germania, acquistano mediante auto prese a noleggio lo stupefacente dal fornitore olandese BIART Marc Feren Claude, lo importano a Rosarno, che passa attraverso l’azienda denominata "Rosarnese" riconducibile ai Cacciola, per poi finire nel circuito della distribuzione.

Gli indagati, per le loro comunicazioni, si sarebbero avvalsi anche di impianti di telefonia pubblica sempre diversi o di schede GSM intestate a soggetti terzi non direttamente riferibili agli utilizzatori. Si è rilevato, inoltre, come le comunicazioni telefoniche avvenissero sempre in modo criptico ed utilizzando metafore difficilmente interpretabili se non attraverso alcuni riscontri oggettivi. Il contatto tra gli indagati, e comunque con i soggetti d’interesse coinvolti in qualche modo nei loro traffici, avveniva attraverso l’utilizzo di nomi di comodo e noti ad ognuno di loro, sia per indicarsi vicendevolmente, o per indicare terzi soggetti non partecipanti alla conversazione, o anche per segnalare all’interlocutore località prefissate per gli incontri, o tragitti da compiere.

Nonostante le precauzioni adottate, segno evidente della necessità di celare l’illiceità di condotte programmate ovvero in atto, i Carabinieri, attraverso un meticoloso e certosino lavoro di analisi, hanno puntualmente colto e verificato il reale contenuto delle conversazioni, risalendo esattamente ai diretti protagonisti dei fatti in esame, sì che ogni dubbio in proposito risulta fugato alla radice.