‘Ndrangheta: “Never Ending”, gli imprenditori rompono il silenzio

Vibo Valentia Cronaca

Tentata estorsione, rapina, lesioni, violenza e minaccia per costringere altri a commettere un reato, il tutto aggravato dalla metodologia mafiosa. Sono queste le accuse ipotizzate dalla Dda di Catanzaro per le sette persone destinatarie dei provvedimenti di fermo (di cui due non eseguiti per irreperibilità dei destinatari) nell'ambito dell'operazione "Never Ending" (Senza fine) della squadra Mobile di Catanzaro. Tra i destinatari delle misure, esponenti della criminalità organizzata vibonese, che avrebbero, fra l'altro, tentato di indurre un testimone di giustizia a ritrattare le accuse.

Le vicende giudiziarie alla base dell'inchiesta partono dagli inizi del 2000, quando il testimone di giustizia Vincenzo Ceravolo denunciò le estorsioni subite e fece finire sotto processo il capo clan Pantaleone Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia) e Nazzareno Colace, condannati nel 2004, rispettivamente a 12 e 9 anni di reclusione per estorsione aggravata dal metodo mafioso. La nuova inchiesta parte dalle dichiarazioni del testimone di giustizia, che si è presentato alla squadra Mobile di Catanzaro per denunciare il tentativo della cosca Mancuso di farlo desistere dalle accuse e ritrattare quanto affermato nel corso degli anni.

Un tentativo che sarebbe stato compiuto da Raffaele Fiumara, referente della cosca Mancuso per la zona di Filadelfia e Pizzo. Sarebbe stato lui ad avvicinare il fratello di Ceravolo. Le attività di indagine hanno permesso di confermare il tentato di pressioni nei confronti del testimone, ma hanno anche portato gli inquirenti su un'altra pista per una diversa estorsione. In questo secondo caso, infatti, un uomo è stato avvicinato dalla cosca che gli avrebbe chiesto del denaro.

Nello specifico, il gruppo avrebbe chiesto la restituzione di somme di denaro anticipate alla vittima per la frequenza di alcuni corsi di formazione a cui avevano successivamente rinunciato. Il gruppo aveva preteso la restituzione dei soldi corrisposti. Quando la vittima aveva ottemperato alla loro richiesta, gli indagati avrebbero preteso anche il pagamento di "interessi". Per cui il debito di 6.200 euro era lievitato a 15.000.

Il provvedimento di fermo è stato emesso nei confronti di Raffaele Fiumara, 60 anni, coinvolto in entrambi i filoni investigativi; Eugenio Gentiluomo, 59 anni, di Gioia Tauro; Rocco De Maio, 43, di Gioia Tauro; Domenico Pardea, 46 anni, di Vibo Valentia; Massimo Patamia, 43 anni, di Taurianova. Risultano irreperibili Carlo Riso, 35 anni, di Gioia Tauro, e Antonio Vacatello, 49 anni, di Vibo Valentia.

Nel corso della conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro, il questore Guido Marino ha sottolineato: "La vicenda nasce da uno scenario grottesco e paradossale, perché i protagonisti di questa vicenda sono stati condannati nel 2004, con condanne confermate in Appello nel 2009 e poi annullate dalla Cassazione. Ma da dicembre 201 ad oggi il processo non è stato nemmeno fissato, consentendo agli autori delle estorsioni di avvicinare le persone che li avevano fatti condannare". Tesi sostenute anche dal capo della Mobile, Rodolfo Ruperti, che ha ricordato come il testimone Vincenzo Ceravolo "fu il primo a parlare delle estorsioni del clan Mancuso, nel 2001".

Non ci sono solo le denunce degli imprenditori Ceravolo di Vibo Marina, testimoni di giustizia "storici" contro il clan Mancuso, alla base dell'operazione "Never Ending". Parte delle accuse è supportata dalla denuncia di un altro imprenditore del Vibonese, già in passato testimone di giustizia per essere stato vittima di usura ed estorsione da parte di elementi della criminalità vibonese. Si tratta di Francesco Vinci, operatore di Pizzo Calabro (Vv), che, con le sue dichiarazioni, ha permesso l'emissione del decreto di fermo, emesso dalla Dda di Catanzaro ed eseguito dalla squadra mobile del capoluogo, a carico di sette persone.

Tutto ha inizio quando Eugenio Gentiluomo riesce a contattare Francesco Vinci per il disbrigo di pratiche burocratiche necessarie per ottenere delle certificazioni per l'imbarco sulle navi.

Vinci indirizza Gentiluomo verso una scuola di Taranto specializzata nel settore, ma essendoci dei ritardi, Gentiluomo avrebbe preteso da Vinci la restituzione di 6mila euro anticipate ad una signora di Taranto. Da qui tutta una serie di presunte minacce e violenze da parte degli odierni indagati ai danni di Vinci, che sarebbe stato anche aggredito fisicamente. Minacce andate avanti dal maggio scorso sino al 12 ottobre.

Fra gli indagati anche il boss di Nicotera Marina, nel Vibonese, Pantaleone Mancuso, 52 anni, detto "Scarpuni". Mancuso è indagato, unitamente a Raffaele Fiumara, 60 anni, Francavilla Angitola, nel Vibonese (ritenuto a capo dell'omonimo gruppo e già coinvolto negli anni '90 nell'operazione antidroga sull'asse Sicilia-Usa denominata "Pizza connection"), del reato di violenza aggravata dal metodo mafioso per aver cercato di costringere gli imprenditori Giampiero e Vincenzo Ceravolo a ritrattare le loro accuse nei confronti del boss.

Dopo l'annullamento con rinvio da parte della Cassazione della condanna a Mancuso per estorsione ai danni dei Ceravolo, imprenditori ittici di Vibo Marina, Raffaele Fiumara su mandato di Mancuso avrebbe cercato, secondo l'accusa, di avvicinare Giampiero Ceravolo per convincerlo a ritirare la denuncia recandosi o direttamente da Mancuso a Nicotera oppure da un avvocato di Tropea.

L'episodio si sarebbe verificato nel novembre dello scorso anno a Pizzo Calabro, in provincia di Vibo. Pantaleone Mancuso, a differenza di Fiumara, non è stato raggiunto dall'odierno decreto di fermo firmato dai pm della Dda di Catanzaro, Carlo Villani e Simona Rossi, in quanto già detenuto poiché coinvolto nelle operazioni antimafia inerenti alla faida fra i Patania di Stefanaconi ed i clan di Piscopio, frazione di Vibo. (AGI)

h 15:56 | Alcune delle persone fermate nell'ambito dell' operazione antimafia "Never Ending" sapevano, nonostante la segretezza dell'indagine, di essere da tempo indagati e che nei loro confronti era stata sporta una denuncia da parte dell'imprenditore di Pizzo Calabro, Francesco Vinci. Questo uno degli aspetti più significativi che emergono dal decreto di fermo della Dda di Catanzaro.

"Risulta dalle investigazioni - scrivono i magistrati nel provvedimento depositato martedì scorso - che gli indagati in stato di libertà sono già a conoscenza dell'esistenza di denunce a loro carico".

18:27 | MINACCE A VINCI, TI TAGLIAMO IN DUE CON UNA MOTOSEGA

Sarebbe stato minacciato di essere tagliato in due con una motosega, l'imprenditore Francesco Vinci di Pizzo Calabro, nel Vibonese, parte lesa dell'operazione antimafia "Never Ending" e che ha denunciato le minacce subite. E' quanto emerge dal decreto di fermo della Dda. Autori della minaccia sarebbero stati Domenico Pardea, 46 anni, detto "U Ranisi", residente a Pizzo, arrestato stamane, e Carlo Riso, 35 anni, di Gioia Tauro, allo stato irreperibile. Il nuovo "capo" di Pizzo Calabro, secondo la Dda, sarebbe stato invece Raffaele Fiumara, 60 anni, del vicino comune di Francavilla Angitola, uscito dal carcere dopo aver scontato una condanna per traffico di droga rimediata nell'inchiesta "Pizza connection".

Fiumara, secondo l'accusa, avrebbe ridimensionato nella zona di Pizzo sia il ruolo di Domenico Pardea e sia quello esercitato dai Bonavota di Sant'Onofrio, tanto da pranzare e cenare gratis in diversi ristoranti della zona "Marinella" di Pizzo. La presenza di Raffaele Fiumara fa scrivere agli inquirenti nel decreto di fermo che in tali zone del Vibonese "sa assiste ad una vera e propria occupazione del territorio sottratto alla sovranità dello Stato, verificandosi un processo di sostituzione delle funzioni a cominciare dal monopolio dell'amministrazione della giustizia detenuto da esponenti di spicco della criminalità che assurgono al ruolo di arbitri delle controversie al posto degli organi istituzionalmente preposti". (AGI)