Operazione “All clean 2”. I dettagli

Reggio Calabria Cronaca

Non si arresta l’azione di contrasto ai patrimoni illecitamente accumulati disposta dalla Direzione Distrettuale Antimafia e dal Tribunale, Ufficio GIP/GUP e Sezione Misure di Prevenzione di Reggio Calabria. All’alba di oggi, i finanzieri del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e il Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, con la collaborazione del Servizio Centrale I.C.O. di Roma, hanno sottoposto a sequestro beni ed altre utilità per un valore di stima pari a ben € 18 mln, nei confronti della nota e potente cosca PESCE di Rosarno. Le Fiamme gialle ed i Carabinieri stringono il cerchio intorno ai latitanti della cosca, tra i quali spiccano ancora “U Ballerinu” Marcello Pesce, il figlio ed il genero del capocosca Antonino Pesce - Giuseppe 30 anni, e Roberto Matalone cl. 77 - nonché Domenico Arena cl. ‘54, cognato di Vincenzo Pesce detto “U Pacciu”, resosi irreperibile dal 20.9.2011, quando è stato condannato alla pena di anni 10 di reclusione. Alcuni dei sequestri in corso di esecuzione sono la prima e diretta conseguenza della sentenza, pronunciata il 20 settembre u.s. dal GUP del Tribunale di Reggio Calabria, nei confronti della famigerata cosca di ‘ndrangheta operativa nella Piana di Gioia Tauro, con importanti propaggini in tutto il Nord Italia e, in particolare, in Lombardia. Il 21 e il 29 aprile ed il 5 maggio scorsi, Guardia di Finanza e Carabinieri, diretti dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia, nella persona del Procuratore Capo Dott. Giuseppe Pignatone, del Procuratore Aggiunto Dott. Michele Prestipino Giarritta e del Sost. Proc. D.ssa Alessandra Cerreti – che sta sostenendo l’accusa in dibattimento - avevano già inferto un durissimo colpo alla cosca, sottraendogli importanti attività commerciali (operanti in un regime pressoché monopolistico), beni immobili, beni mobili e disponibilità finanziarie, per un valore di circa 210 milioni di Euro, che formavano l’illecito “impero economico” dei PESCE – Operazione “All Clean”. Il recentissimo giudizio con rito abbreviato, pronunciato nel settembre scorso dal GUP del Tribunale di Reggio Calabria, nei confronti di 11 affiliati, ha lanciato un ulteriore importantissimo segnale della reazione della società civile alle proditorie minacce della criminalità organizzata in Calabria.

Nell’ambito del dispositivo, infatti, oltre alle pesantissime condanne personali, il Giudice ha posato una vera e propria pietra miliare nella storia del contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso, condannando gli imputati anche al pagamento di una somma di 50 milioni di Euro a titolo di risarcimento per i cittadini del Comune di Rosarno, vittime - per decenni - delle angherie e dell’arrogante prepotenza della cosca. Risarcimenti, per 10 milioni di Euro ciascuno, sono stati altresì riconosciuti anche alla Regione Calabria ed al Ministero dell’Interno – in tal modo riconoscendo il notevole sforzo investigativo profuso dalle Forze di Polizia. Oltre al provvedimento emesso dall’Ufficio GIP/GUP del Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, finalizzato a cautelare le importanti confische disposte anch’esse con la sentenza in argomento, nei confronti di Francesco Pesce, detto “Ciccio Testuni” - recentemente stanato nel suo bunker sotterraneo dai Carabinieri di Reggio Calabria - è in corso di esecuzione un decreto del Tribunale di Reggio Calabria - Sezione Misure di Prevenzione, emesso nei confronti di Domenico Arena, irreperibile dalla data di emissione della citata sentenza. Il numero dei beni sequestrati è - ancora una volta - di rilievo; si tratta, infatti, di ben 8 imprese, con tutto il loro patrimonio aziendale, operanti - principalmente - nel settore dei trasporti, in quello agrumicolo e nel commercio; alle attività commerciali, vanno poi aggiunti i beni mobili, immobili e le disponibilità finanziarie. In tale contesto, proprio l’irreperibile Domenico Arena era particolarmente attivo nel settore dei trasporti (imposizione dei mezzi di trasporto e attraverso cui la CE.DI. SISA S.p.A. svolgeva le attività di logistica) e della distribuzione, al punto da causare un scontro in seno al clan tra il cognato Vincenzo Pesce - interprete più autentico della ‘ndrangheta tradizionale, quella dal volto più violento e parassitario, capace di azioni immediate ed eclatanti, tant’è che egli stesso (in un colloquio ambientale intercettato in carcere) arrivò a dichiarare “io sono sempre uno ‘ndranghetista … io sono stato sempre uno sgarrista … e ho campato sempre di sgarro” - ed il giovane rampollo del casato Francesco Pesce, oggi assicurato alle patrie galere. L’investigazione di polizia economico – patrimoniale ha trovato ulteriore slancio grazie a precise dichiarazioni rese da Giuseppina Pesce, figlia di Salvatore detto “U Babbu”, dalla quale i finanzieri, agendo di concerto con l’A.G. delegante, hanno ricevuto precisi riscontri e notizie, utili a ulteriormente cristallizzare il quadro fortemente indiziario, già comunque ricostruito in capo agli intestatari fittizi dei beni in sequestro. L’operazione odierna dimostra, ancora una volta, come la ricchezza illecita generata dalle mafie venga - sempre più - reinvestita nell’economia legale, al fine di fornire alla stessa un abito pulito e nuovo, ma, soprattutto, non sempre aggredibile, grazie alla abili manovre di schermatura rese possibili da alcuni professionisti che - troppo spesso – si mettono al servizio dell’antistato.

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