Sequestrati beni nel vibonese per 6 mln di euro ad Antonio Mancuso

Vibo Valentia Cronaca

La Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro ha sequestrato beni mobili ed immobili per un valore complessivo di oltre 6 milioni di euro riconducibili a Mancuso Antonio, 73enne di Limbadi, Sorvegliato Speciale di P.S., uno dei capi carismatici della nota cosca Mancuso di Limbadi e noto come ziontoni. Il provvedimento di sequestro è stato adottato dal Tribunale di Vibo Valentia – Sez. Mis. Prev. - ai sensi della normativa antimafia, su proposta formulata dal Direttore della Direzione Investigativa Antimafia, Generale dei Carabinieri Antonio GIRONE, ed ha interessato, oltre a diverse unità immobiliari (73 appezzamenti di terreno e 6 fabbricati,) site nella rinomata località turistica di Nicotera, rapporti bancari ed il compendio di un’azienda agricola, intestata alla moglie. Sul conto di Mancuso, nel provvedimento di sequestro appena eseguito si legge “… personaggio ben inserito negli ambienti criminali operanti nella provincia di Vibo Valentia, ove è ritenuto un elemento verticistico e risulterebbe tra i personaggi più carismatici della cosca Mancuso di Limbadi (VV), i cui interessi, com’è noto, sono rivolti anche verso altre Regioni d’Italia e persino all’Estero…. (a suo carico)… risultano diversi precedenti per reati particolarmente gravi contro la persona ed il patrimonio …… è stato condannato per reati associativi sia nel 2003 nel processo GENESI che nel 2007 nel processo DINASTY”.

Il Tribunale della prevenzione ha opportunamente evidenziato che in seno alla sentenza con la quale è stato condannato a quattro anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso nell’ambito dell’operazione “GENESI” è stata appurata, non solo l’esistenza “… del sodalizio mafioso facente capo alla famiglia MANCUSO …” ma anche la “… posizione dello stesso Mancuso Antonio …” al suo interno. I giudici aggiungono che l’operazione “DINASTY” risulta documentata “… la mafiosità del Mancuso Antonio (cl.38) e la sua appartenenza verticistica in seno all’omonimo clan. In particolare, unitamente a Mancuso Pantalone (cl.47), vengono indicati quali direttori dell’intera struttura associativa. La cosca Mancuso di Limbadi si avvale della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà della generalità dei cittadini. Le attività criminali sono finalizzate al controllo ed allo sfruttamento delle risorse economiche della zona, al compimento di delitti contro il patrimonio (prevalentemente estorsioni, usura, truffe aggravate) e contro la persona (omicidi e lesioni) – reati questi ultimi, compiuti soprattutto nel periodo di creazione ed affermazione della organizzazione criminale da parte del capo cosca (fine anni ’80 e inizi anni ’90), alla intestazione fittizia a terzi delle proprie ricchezze e comunque alla realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti per sé e per altri”.

La D.I.A. di Catanzaro ha eseguito una complessa attività di analisi economico/patrimoniale che ha riguardato, per un arco temporale compreso tra il 1992 ed il 2009, tutti i cespiti in qualunque modo riconducibili al MANCUSO, allo scopo di documentare, tra l’altro, la netta sproporzione tra il reddito dichiarato ai fini delle imposte dirette e le attività economiche espletate. Al riguardo, il Tribunale ha evidenziato come: “… accertamenti effettuati dalla D.I.A. nonché le numerose, pregresse vicende penali che hanno riguardato (e ancora riguardano) Mancuso Antonio, rapportate ai redditi dichiarati e alle attività economiche esercitate, rappresentano sufficienti indizi per ritenere che gli investimenti realizzati dal predetto, tramite la moglie, le figlie o altri soggetti, possano essere il frutto di illecita accumulazione patrimoniale o ne costituiscano il reimpiego. Infatti, dalle tabelle sopra riportate si evince in maniera eloquente la sproporzione tra i redditi disponibili e gli investimenti effettuati. In altre parole il prospetto in argomento evidenzia come gli investimenti operati dal nucleo familiare del proposto siano notevolmente superiori rispetto alla capacità di spesa dello stesso nucleo familiare. Ad avviso del Collegio esiste quindi una notevole sproporzione tra i beni oggetto della proposta ed il reddito dichiarato ed il genere di attività svolta dal proposto e dai suoi conviventi. I beni sopra indicati costituiscono, comunque, elementi indicativi di una disponibilità economica, che coincide temporalmente con le illecite attività poste in essere nelle forme di cui all’art. 416 bis c.p., nell’ambito della commissione di reati contro la persona e di altri reati contro i patrimonio e del riciclaggio dei redditi illeciti che ne sono scaturiti, ne va pertanto disposto il sequestro potendosi ragionevolmente ritenere, rebus sic stantibus, che tali beni costituiscano il frutto o il reimpiego delle predette attività delinquenziali”.

Quest’ultima attività operativa, che scaturisce dalla proposta formulata dal Direttore della Direzione Investigativa Antimafia, Generale Antonio GIRONE, costituisce ulteriore espressione del costante impegno profuso nel contrasto all’illecita accumulazione di ricchezze da parte delle organizzazioni mafiose e di coloro i quali si prestano a gestire i patrimoni loro riconducibili.