Rinascita Scott: il “filone” ungherese e la truffa agli omaniti, così si riciclava il denaro del clan

Vibo Valentia Cronaca

Avrebbe costituito una serie di società italiane, ungheresi e cipriote, intestandole fittiziamente a terzi così da riciclare il denaro della ‘ndragheta vibonese.

È quanto viene contestato dalla Dda di Catanzaro ad uno degli indagati nel blitz di questa mattina, ulteriore filone della più nota inchiesta Rinascita Scott (QUI), e che ha portato all’arresto di otto persone (QUI) che sono finite in carcere, una delle quali ammanettata in Ungheria, oltre che all’emissione di tre misure interdittive che prevedono il divieto di esercitare l’attività imprenditoriale o la direzione di persone giuridiche.

E proprio un ungherese, difatti, in questo contesto, è stato colpito da un Mandato d’Arresto Europeo: si tratta un avvocato locale che è risultato l’intestatario del 50% delle quote societarie di una delle aziende di cui accennavamo prima.

L’indagine, rafforzata da intercettazioni e dalle dichiarazione di diversi collaboratori di giustizia, ha così documentato la presunta appartenenza alla cosca di ‘ndrangheta attiva di Sant’Onofrio (nel vibonese) di quattro degli indagati, uno dei quali è appunto colii che avrebbe costituito le aziende italiane e straniere.

Gli investigatori, però, hanno anche ricostruito le dinamiche sottese ad una truffa, avvenuta nel 2017 e realizzata dall’articolazione mafiosa ai danni di investitori omaniti che hanno versato la somma un milione di euro dietro la promessa di ottenere il 30% delle quote di una società cui sarebbe stato riconducibile un compendio immobiliare in Budapest.

Nel corso dell’operazione odierna, inoltre, è stato eseguito un sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni e società per un valore di circa 3 milioni di euro e che ha interessato cinque società immobiliari, quattro delle quali a Budapest e una a Milano; due immobili a Pizzo Calabro; uno yacht intestato a una società ungherese; quattro veicoli immatricolati in Italia; e rapporti finanziari e conti correnti italiani e ungheresi.

GLI INDAGATI

Sono così finiti in carcere: Giovanni Barone, 53enne di Roma residente a Milano; Basilio Caparrotta, 62enne di Sant’Onofrio; Basilio Caparrotta, 52enne di Sant’Onofrio; Gerardo Caparrotta, 55ebbe di Carignano (Torino) ma residente a Vibo Valentia; Giuseppe Fortuna, 45enne di Tropea residente a Filogaso; Giuseppe Fortuna, 60enne di Vibo Valentia; Gaetano Loschiavo, 35enne di Pizzo; e Edina Margit Szilagyi, 57enne di Budapest3

Divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali per Saverio Boragina, 71enne di Francavilla; Annamaria Durante, 47enne di Vibo residente a Milano; e Eva Erzsebet Szilagyi, 54enne di Budapest.

L’OPERAZIONE

L’operazione è stata condotta dai carabinieri del Ros col supporto dei colleghi di Vibo Valentia. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata invece emessa dal Tribunale di Catanzaro su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo

L’indagine si è sviluppata in un articolato contesto di cooperazione internazionale di polizia e giudiziaria con le autorità ungheresi, cipriote, francesi, danesi e britanniche, con il coordinamento di Eurojust e si è avvalsa inoltre della collaborazione della Uif, l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia e del supporto finanziario dal progetto @ON.

Come accennavamo all’inizio è una prosecuzione dell’indagine Rinascita Scott, del dicembre 2019 che - oltre a fornire ulteriore conferma dell’unitarietà della ‘ndrangheta, al cui interno le articolazioni territoriali, tra locali e ‘ndrine, godono di un’ampia autonomia operativa, seppur nella comunanza delle regole e nel riconoscimento dell’autorità del Crimine di Polsi (nel rerggino) - aveva consentito di ricostruire gli assetti della criminalità calabrese presente nel vibonese, colpendo 334 indagati ritenuti responsabili, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, detenzione di armi, traffico di stupefacenti, truffe, turbativa d’asta, traffico di influenze e corruzione.

L’esecuzione del mandato europeo è stata garantita dal supporto della Direzione Centrale della Polizia Criminale - Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia (progetto Ican), mentre il sequestro delle società e dei conti localizzati in Ungheria è stato coordinato da Eurojust e, nell’ambito del reciproco riconoscimento dei provvedimenti reali, si tradurrà in un congelamento di beni.