Garantirono la macchia a “Gambazza”: otto arresti, “decimata” la famiglia del super boss

Reggio Calabria Cronaca

Otto persone sono finite stamani in arresto - nell'ambito dell'operazione chiamata in codice "Defender" - con l’accusa di aver “coperto” la latitanza di Giuseppe Pelle, 61 anni, ritenuto boss dell’omonima cosca di ‘ndrangheta di San Luca, già capeggiata dal defunto padre Antonio.

Pelle, meglio noto come “Gambazza” ad aprile del 2016 si era sottratto ad un ordine di carcerazione emesso dalla Procura Generale di Reggio Calabria, in virtù del quale doveva scontare una pena residua di poco meno di due anni e mezzo di reclusione per associazione mafiosa, reato contestatogli nell’ambito dell’operazione Reale (QUI).

Il “super boss” venne catturato due anni dopo, il 6 aprile del 2018, a Condofuri, con un blitz condotto dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria e dallo Sco, il Servizio Centrale Operativo della Polizia (QUI).

GLI ARRESTATI

Le manette sono quindi scattate per la moglie di Pelle, Marianna Barbaro (54 anni); per i tre figli Antonio, Francesco ed Elisa, rispettivamente di 34, 31 e 34 anni; per il genero Giuseppe Barbaro, di 35 anni; il nipote Antonio Pelle, 36 anni; e per Giuseppe Morabito (60 anni) e Girolamo Romeo (43anni).

A tutti si contestano i reati di procurata inosservanza di pena e favoreggiamento personale, aggravati dalla circostanza mafiosa.

L’EXCURSUS DEL RICERCATO

Durante la latitanza e nel contesto di un’altra inchiesta della Dda, la nota operazione Mandamento Ionico (QUI), Pelle fu raggiunto da un decreto di fermo di indiziato di delitto, poi tramutato in un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, per il reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, oltre che per turbata libertà degli incanti ed illecita concorrenza, anch’essi aggravati dal metodo mafioso.

In relazione a quest’ultime vicende il presunto boss è stato condannato in primo grado a 18 anni e 6 mesi. Nello stesso procedimento è coinvolto anche il figlio Antonio (cl. ‘87), anche lui condannato in primo grado a 14 anni e 8 mesi per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.

L’ipotesi degli inquirenti è che nella sua latitanza sia stato protetto da una rete di fiancheggiatori prevalentemente a carattere familiare.

“Gambazza”, come accennavamo all’inizio, fu poi rintracciato ed arrestato, dopo due anni di latitanza, in un appartamento di Contrada Pistaria, a Condofuri, all’interno di un immobile di proprietà della mamma di Girolamo Romeo, oggi indagato.

Proprio grazie all’efficiente rete di protezione dei suoi stretti familiari, nonostante fosse ricercato Pelle sarebbe così riuscito ad incontrare frequentemente la moglie, che è la figlia di Francesco Barbaro (classe 1927, morto nel novembre del 2018), in vita ritenuto a capo dell’omonima ‘ndrina dei “Castanu”, e condannato all’ergastolo.

GLI SPOSTAMENTI DELLA MOGLIE

Prima della cattura a Condofuri, per come emerso dalle indagini, aveva trascorso la sua latitanza spostandosi tra San Luca e Platì (sempre nel reggino), in un immobile non lontano da quello della figlia Elisa, con la quale sarebbe stato in contatto.

Gli investigatori spiegano che proprio in occasione di uno di questi spostamenti, a settembre del 2016, il presunto boss sarebbe risuscito a sfuggire alla cattura grazie ad un articolato servizio di staffetta che si ritiene fosse stato organizzato dal genero Giuseppe Barbaro e dal nipote Antonio Pelle (classe 1986), mentre il latitante si trovava a bordo dell’auto con il figlio Antonio Pelle (classe 1987).

Dopo la mancata cattura, i parenti ed i presunti fiancheggiatori avrebbero adottato dei metodi più accorti per scansare gli inquirenti, senza che ciò impedisse alla moglie di incontrarlo periodicamente proprio con l’aiuto dei figli e del genero.

In pratica la donna sarebbe stata portata dal marito di notte, effettuando diverse soste durante il percorso tra le località di Natile, Careri e Bovalino e durante il tragitto cambiando l’auto su cui viaggiava.

Grazie ad un articolato sistema di monitoraggio messo in atto dal gruppo investigativo addetto alle sue ricerche, però, si riuscì lo stesso ad individuare la località dove poteva aver trovato rifugio, ossia la casa di Condofuri.

Le attenzioni investigative si concentrarono quindi su Girolamo Romeo (classe 1979) e sul cognato Giuseppe Morabito, che era residente in Contrada Pistaria di Condofuri.

L’OCCHIO DEGLI INQUIRENTI

Gli investigatori installarono infatti e appositamente posizionate delle telecamere, agli inizi di aprile, che consentirono di accertare che il latitante si nascondesse proprio lì.

Dallo stesso monitoraggio emerse che Pelle, all’alba di ogni giorno, e precauzionalmente abbandonasse il covo, passando la giornata all’aperto in contrada Mazzabarone di Condofuri dove Giuseppe Morabito e Girolamo Romeo gestivano una azienda agricola ed un allevamento di bestiame, facendo poi rientro a casa solo in tarda serata, per cenare e trascorrere poche ore di sonno.

Anche il trasferimento dal nascondiglio alla campagna era sistematicamente preceduto da una bonifica preliminare del percorso, che sarebbe stata eseguita da Giuseppe Morabito a bordo di una Ford Fiesta, per poi trasportare il latitante a su un fuoristrada Defender.

Acquisiti questi preziosi elementi, il 6 aprile del 2018, la Polizia fece irruzione nell’appartamento e mise fine alla latitanza di Pelle.

LE INDAGINI

Le indagini che hanno portato agli arresti di oggi sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, ed eseguite dal personale della Squadra Mobile della Questura cittadina. L’ordinanza di applicazione delle misure cautelari è stata emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale del capoluogo.