Droga e frodi finanziarie: i business della ‘ndrangheta in Umbria, sequestro da 8mln

Crotone Cronaca

Ammonta a circa 8 milioni di euro il valore complessivo dei beni sequestrati quest’oggi nel corso di una operazione congiunta tra la Calabria e l'Umbria (LEGGI) e che ha permesso di mettere in luce gli interessi e le attività di una articolata locale di 'ndrangheta nella regione del centro Italia.

Nel mirino della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, è finita la cosca dei Trapasso di San Leonardo di Cutro, da tempo radicata sul territorio e già finita al cento di una precedente operazione.

Le Divisioni Anticrimine di Perugia e di Crotone hanno dato seguito, quest'oggi, a due distinti provvedimenti con cui hanno cautelato complessivamente circa 50 rapporti finanziari di varia natura (tra titoli e depositi); 42 immobili (tra terreni e fabbricati); 41 automezzi; 9 compagini societarie; 5 veicoli; 3 contratti di leasing collegati all'acquisto di altrettanti veicoli; una impresa individuale.

LA LOCALE DI SAN LEONARDO

L'operazione ha riguardato gli eredi di un esponente di spicco della cosca Trapasso, Antonio Ribecco, deceduto nel 2020 e ritenuto uomo di fiducia di un’altra cosca, quella dei Commisso di Siderno, assieme ad un imprenditore calabrese operante da tempo in Umbria, Alberto Benincasa, e ritenuto uomo di riferimento per diverse famiglie criminali dell'area ionico-catanzarese.

Entrambi erano già stati coinvolti, nel 2019, nell'operazione Infectio (QUI), svolta dalla Polizia sotto il coordinamento della Dda di Catanzaro.

L'accusa era, a vario titolo, di associazione mafiosa, di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, alla detenzione e all’occultamento di armi clandestine, associazione finalizzata alla consumazione di una serie di reati di natura contabile o economico-finanziari strumentali alla realizzazione sistematica di frodi bancarie, al riciclaggio, all’intestazione fittizia di beni e al trasferimento fraudolento di valori. Il tutto aggravato dal metodo mafioso.

Proprio quell'operazione permise di mettere in luce la presenza e la ramificazione della 'ndrangheta in Umbria, con la scoperta di una locale riferita proprio a San Leonardo di Cutro che gestiva un vero e proprio sodalizio criminale.

L'obiettivo era quello di infiltrarsi quanto più possibile nel tessuto economico ed imprenditoriale della regione, grazie ad articolati sistemi di frodi contabili e fiscali, che denotavano una notevole dimestichezza in grado di generare ingenti benefici economici.

La locale sarebbe stata gestita direttamente dalla cosca Trapasso, in particolare dal capofamiglia (deceduto nel 2020) assieme al figlio ed al cognato, che si sarebbero occupati in prima persona non solo della promozione e dell'organizzazione, ma anche del traffico della droga proveniente dalla Calabria. Emersa, inoltre, una fitta rete di rapporti con organizzazioni criminali albanesi.

IL RUOLO DELL'IMPRENDITORE

Ricopriva un ruolo diverso, invece, l'imprenditore calabrese. All'interno dell'organizzazione il suo compito sarebbe stato quello di gestire un fitto ed articolato sistema dedito alla realizzazione di truffe finanziarie e tributarie, prevalentemente a danno di istituti di credito

Secondo quanto ricostruito nel corso dell'indagine, tali reati avrebbero fruttato al sodalizio un patrimonio di circa 700 mila euro.

Un “sistema” che avrebbe fatto leva sul cosiddetto metodo delle “cartiere”, ben noto e molto utilizzato dalla 'ndrangheta. Numerose società intestate a prestanome nullatenenti venivano “pompate” a livello finanziario tramite falsi bilanci, false fatturazioni, finti aumenti di capitali ed evasione fiscale, in modo da apparire in salute e così ottenere prestiti e finanziamenti.

Una volta ottenuto il credito, veniva rapidamente disposta una dichiarazione di fallimento, ed il denaro ottenuto veniva trasferito decine e decine di volte - passando sempre e solo tramite aziende compiacenti e dunque riconducibili al sodalizio - al fine di “ripulirlo” ed impedire così all'ente creditore di poterlo recuperare.

Secondo gli investigatori i proventi sarebbero stati abilmente nascosti al fine di sfuggire ad ogni controllo da parte dello Stato o delle Forze dell'Ordine.

Intestati a terzi, spesso congiunti incensurati o veri e propri prestanome, sarebbero stati poi reimpiegati a stretto giro per l'acquisto di beni mobili ed immobili, ma anche di società operanti prevalentemente nell'edilizia, nel trasporto e nella ristorazione.

Un sistema dunque che avrebbe permesso non solo di ottenere ingenti guadagni illeciti, ma anche di controllare capillarmente il tessuto economico, coinvolgendo imprenditori nei relativi settori di interesse tanto nella provincia di Crotone quanto in quella di Perugia, spesso anche attraverso estorsioni e la concorrenza illecita.

Il tutto però non è passato inosservato: la complessa indagine ha portato anche a numerosi approfondimenti patrimoniali, che hanno fatto emergere una notevole sproporzione tra i redditi dichiarati dai soggetti coinvolti ed i beni posseduti.

Alcuni nuclei familiari avevano presentato addirittura dei redditi al di sotto della soglia di povertà, del tutto incompatibili con il possesso dei beni dichiarati. Dettaglio, questo, che ha permesso di scoprire l'intero sistema.