Carburante di contrabbando nei mezzi del Consorzio: la febbre da Oro Nero colpisce anche la Calabria

Calabria Cronaca

Non esitano a definirla “una vera e propria miniera di oro … nero” i militari della Guardia di Finanza, che questa mattina hanno preso parte ad una imponente operazione che ha visto coinvolti 410 uomini nelle province di Salerno, Napoli, Avellino, Caserna, Cosenza e Taranto.

Operazione dal titolo emblematico, Febbre dell’oro nero(QUI), che dimostra come il contrabbando di carburanti abbia “raggiunto proporzioni gigantesche, cui mai si era arrivati nel passato”, soprattutto in ambienti criminali, dove risulta essere tra le principali fonti di guadagno illecito, assieme evidentemente al traffico di stupefacenti.

Oltre cento gli indagati a vario titolo per associazione mafiosa e per delinquere finalizzata alla commissione di frodi in materia di accise, oltre che per intestazione fittizia di beni e società, riciclaggio, autoriciclaggio ed impiego di denaro di provenienza illecita.

Il sodalizio sarebbe direttamente collegato a distinte organizzazioni criminali, riconducibili ai clan dei Casalesi e dei tarantini.

LE “POMPE BIANCHE”

Il modus operandi del sodalizio è stato accuratamente accertato dai finanzieri, che hanno così messo in luce un “innovativo know-how fraudolento nel settore del contrabbando” operativo almeno dal 2015.

Un accordo tra i clan campani e pugliesi sarebbe stato stipulato in Basilicata, precisamente nel Vallo di Diano, dove degli imprenditori compiacenti collaboravano con le distinte attività criminali aiutandole a contrabbandare olii e carburanti.

Questi venivano poi venduti come carburanti agricoli, godendo così di un consistente sgravio fiscale che permetteva di acquistare il prodotto ad un prezzo vantaggioso.

Dopo l’acquisto, però, il carburante non veniva venduto nel settore agricolo bensì immesso, in maniera fraudolenta, in numerosi distributori indipendenti - detti “pompe bianche” - e venduto dunque ad ignari automobilisti.

Questo meccanismo, avallato da numerose dichiarazioni fraudolente e falsificazioni, garantiva un guadagno effettivo del 50% su ogni litro di benzina, generando così un ingente profitto che permetteva non solo di rientrare degli investimenti iniziali in poco tempo ma anche di generare, nel giro di qualche anno, guadagni enormi e costanti.

IL CARBURANTE TINTO COI COLORANTI

Tutto il sistema si basava su una serie di documentazioni false, che hanno consentito al sodalizio di “spacciare” il carburante agricolo come comune benzina.

Ciò avveniva sin dal reclutamento dei nominativi a cui vendere fraudolentemente il carburante, clonati e sottratti in maniera illecita.

Le vendite del carburante agricolo infatti venivano intestate ad imprenditori agricoli ignari della frode, che per un malfunzionamento del sistema telematico dell’Agenzia delle Entrate non ricevevano alcuna notifica.

In questo modo, il carburante agricolo acquistato veniva, solo sulla carta, consegnato ai rispettivi acquirenti.

Nel tentativo di evitare problemi in caso di ispezione, le cisterne utilizzate erano dotate di un meccanismo capace di rilasciare un colorante che avrebbe tinto, letteralmente, il carburante agricolo al fine di farlo apparire dello stesso colore della comune benzina. Una precauzione per sfruggire ad eventuali controlli fisici che non avrebbero lasciato scampo, facendo scoprire l’intero meccanismo.

IL CONSORZIO DEL TIRRENO COSENTINO

L’operazione, che ha coinvolto prevalentemente soggetti appartenenti alle famiglie criminali campane, lucane e pugliesi, avrebbe trovato terreno fertile anche la Calabria.

Nello specifico, a finire sotto la lente d’ingrandimento dei finanzieri è stata una gara indetta dal Consorzio di Bonifica dei Bacini del Tirreno Cosentino, che avrebbe assegnato in modo irregolare la fornitura di carburanti proprio ad un rivenditore “affiliato” al sodalizio.

Le indagini avrebbero permesso di accertare come uno dei dipendenti del Consorzio, oggi posto ai domiciliari, fosse vicino ad un soggetto della criminalità locale immischiato nel contrabbando, garantendogli la riuscita dell’operazione.

Nel corso delle indagini, sarebbe emerso anche il coinvolgimento di un Carabiniere “infedele”, che avrebbe aiutato i clan fornendogli notizie riservate ed avvisandoli di eventuali operazioni.

IL GIRO D’AFFARI E I SEQUESTRI

Le fiamme gialle stimano, complessivamente, che il giro d’affari del sodalizio fosse attorno ai 30 milioni di euro all'anno. Somme da capogiro, che avevano permesso ingenti acquisizioni di beni da parte degli esponenti criminali, al punto da far scaturire diverse fibrillazioni e contrasti.

Poste sotto sequestro 12 società di carburanti ricollegate direttamente ai clan, assieme a beni come veicoli, cisterne, camion, immobili e denaro contante, per un valore di circa 50 milioni di euro.

Oltre un centinaio gli indagati, mentre sono 26 le persone a finire in carcere, 11 ai domiciliari e 6 quelle sottoposte a divieto di dimora.