I Sarcone, i Muto e il “controllo” dell’Emilia: schiaffo ai clan del crotonese, 29 indagati

Crotone Cronaca

Trent’anni di fatti e crimini avvenuti sull’asse Cutro-Reggio Emilia: un lungo lasso di tempo passato al setaccio dagli investigatori, che hanno iniziato a lavorarci ben quattro anni fa, nel 2017, e che sono oggi giunti a “fotografare” la figura di Giuseppe Sarcone Grande, rimasto fino a quel momento a margine delle indagini e delle sentenze piovute al termine dei noti processi che hanno visto invece condannati gli altri suoi tre fratelli, Nicolino, Gianluigi e Carmine Sarcone, finiti e tutt’ora tra le sbarre nell’ambito del processo scaturito dalla maxi operazione Aemilia (QUI).

Questa in sintesi, l’esito dell’operazione denominata Perseverance (QUI), che stamani ha visto indagate 29 persone, 9 delle quali finite in arresto: 7 in carcere e due ai domiciliari.

Un’indagine questa che ha rafforzato la conoscenza dell’organigramma della ‘ndrangheta emiliana, storicamente legata alla cosca Grande Aracri di Cutro, nel crotonese, in grado di operare nella regione del centro nord in modo autonomo, e che conta su una enorme capacità di infiltrazione in settori centrali della economia e della vita civile.

Da un lato, hanno indagato i Carabinieri di Modena, che sono partiti proprio dalle risultanze investigative dell’indagine Aemilia, che ha visto impegnati dal 2010 al 2015 il Nucleo Investigativo di Modena con quello di Parma e la Compagnia di Fiorenzuola D’Arda.

Dall’altro, invece, hanno investigato gli uomini della polizia che a loro volta sono partiti dall’altrettanto nota indagine Grimilde (QUI), che ha passato sotto la lente gli anni che vanno dal 2015 al 2019.

IL “FILONE” SUI SARCONE

Mettendo insieme i due filoni gli inquirenti ritengono oggi e dunque di poter dimostrare, da una parte, come Giuseppe Sarcone abbia di fatto gestito attività economiche nelle province di Modena e Reggio Emilia, come sale scommesse, officine meccaniche, carrozzerie e società immobiliari.

Attività “intestatea presunti prestanome nel tentativo di salvaguardare il suo patrimonio da prevedibili sequestri, soprattutto alla luce di una misura di prevenzione patrimoniale già emessa nel settembre del 2014 nei confronti della famiglia.

Le indagini hanno così consentito di arrivare al sequestro di cinque società (due a Modena e tre a Reggio Emilia), quattro complessi immobiliari (tre a Cutro e uno a Reggio Emilia) oltre a un’auto: tutti beni che sarebbero riconducibili alla nota famiglia calabrese.

Tra i reati contestati agli altri indagati nel procedimento figurano anche quelli di trasferimento fraudolento di valori e falsità ideologica.

Alcuni episodi ritenuti tra i più emblematici ed emersi nelle fasi investigative, riguardano anche il tentativo di acquisire, tramite dei prestanome, la gestione di un’area di servizio in provincia di Reggio Emilia e di una sala slot e scommesse a Modena, attraverso la costituzione, da parte di soggetti considerati compiacenti, di apposite società, tutte di fatto gestite sempre da Sarcone.

IL FILONE DEI MUTO

L’altro filone investigativo è quello specificatamente seguito dalla Polizia di Reggio Emilia e che si è, in principio, incentrato sulla figura di Salvatore Muto (36 anni), fratello di Luigi (46) e Antonio (43), entrambi condannati anche di recente dalla Corte d’Appello di Bologna, sempre nel processo Aemilia, per associazione di stampo mafioso.

La tesi è che Salvatore, rimasto in libertà, abbia proseguito l’attività illecita dei fratelli, mettendo tra l’altro in contatto per affari illeciti la cosca emiliana con un’insospettabile coppia di cittadini modenesi incensurati e spregiudicati.

Quest’ultimi avrebbero affidato alla cosca un primo incarico consistente nel provocare delle lesioni gravissime ad una donna che, poiché si prendeva cura di loro parenti anziani, sarebbe suo malgrado divenuta di ostacolo per i coniugi nell’acquisire un ingente patrimonio posseduto dai familiari.

L’immediata attività della Squadra Mobile reggiana, avvenuta tramite perquisizioni e verbalizzazioni, aveva fortunatamente indotto i due, per paura, ad abbandonare l’obiettivo.

IL CASO DEI CONIUGI MODENESE

Ma la cosa non sarebbe finita lì. Vi sarebbe stato un secondo incarico che i coniugi modenesi avrebbero affidato al gruppo ‘ndranghetista, cioè il “recupero crediti”, di natura estorsiva, di una grossa somma di denaro, nei dialoghi intercettati pare si parlasse di qualcosa come oltre 2 milioni di euro e di probabile provenienza illecita.

Da quanto ricostruito dagli inquirenti, per intimorire il debitore, Muto si sarebbe rivolto a altre due persone, Domenico Cordua e a Giuseppe Friyio, che secondo il Gip Distrettuale apparterrebbero anch’essi alla ‘ndrangheta emiliana.

Cordua e Friyio, dunque, si sarebbero appostati presso l’abitazione in Toscana del debitore e, sorprendendolo all’uscita, gli avrebbero consegnato i documenti del presunto credito ma accompagnati - con evidente scopo intimidatorio - dalle foto di suoi parenti stretti.

Una vicenda che si sarebbe complicata con l’intervento, a difesa delle asserite ragioni della vittima della presunta estorsione, di un soggetto che si sarebbe presentato come referente di un altro gruppo ‘ndranghetistico calabrese, elemento che avrebbe fatto registrare l’entrata in scena di Giuseppe Sarcone Grande, ritenuto a capo del gruppo ‘ndranghetistico emiliano.

L’azione di Sarcone e di un suo collaboratore, Giuseppe Caso (nei cui confronti il Gip contesta il reato di concorso esterno) si sarebbe svolta “con dinamiche tipicamente mafiose”: le “trattative” sull’esistenza ed esigibilità del credito sarebbero state difatti affrontate nel corso di riunioni di ‘ndrangheta, puntualmente documentate dalla Squadra Mobile reggiana.

Durante le indagini, poi, è stata ritrovata e sequestrata un’arma con la matricola abrasa, detenuta illegalmente e portata, in concorso, da Friyio e Cordua.

L’operazione di oggi è stata condotta dagli uomini della polizia delle Questura di Reggio Emilia, insieme ai colleghi della Squadra Mobile di Parma e ai Carabinieri del Comando Provinciale di Modena.

I provvedimenti sono stati emessi dal Gip presso il Tribunale di Bologna, Alberto Ziroldi, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna. Le investigazioni sono state coordinate invece da Giuseppe Amato e Beatrice Ronchi.

Eseguite inoltre 35 perquisizioni nelle province di Reggio Emilia, Modena, Ancona, Parma, Crotone, Milano, Prato, Pistoia e Latina, nel cui contesto saranno eseguite le 10 misure cautelari personali, sette in carcere, due ai domiciliari ed una interdittiva.