Soldi a giudice per fare scarcerare boss, legale sceglie rito abbreviato

Catanzaro Cronaca

Rito abbreviato per i tre imputati nell’inchiesta della Dda di Catanzaro su un presunto accordo corruttivo tra un giudice e un boss di ‘ndrangheta per ottenere la scarcerazione.

A essere giudicati - con l’abbreviato - saranno l’avvocato del foro di Palmi Armando Veneto (ex deputato ed ex parlamentare europeo dell’Udeur, già sindaco di Palmi con il Partito popolare), Domenico Bellocco, alias “Micu u longu”, e Vincenzo Albanese.

I tre sono accusati, a vario titolo, di corruzione in atti giudiziari aggravata dal metodo mafioso e concorso esterno in associazione mafiosa. Per loro il processo è stato fissato al 23 giugno.

Prosegue, invece, l’udienza preliminare per Giuseppe Consiglio, Vincenzo Puntoriero, Gregorio Puntoriero e Rosario Marcellino. Il Gup deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio il prossimo 19 febbraio.

L’indagine è scattata nel 2009 quando Giancarlo Giusti, giudice morto suicida nel 2015, in qualità di componente del collegio del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, nell’udienza del 27 agosto 2009 ha annullato l’ordinanza di carcerazione emessa dal Gip nei confronti dei componenti della cosca Bellocco, arrestati nel corso dell’operazione “Rosarno è nostra 2” dai quali avrebbe ricevuto, in cambio del provvedimento favorevole, 120 mila euro (40mila euro ciascuno) dai tre indagati individuati in Rocco Bellocco, Rocco Gaetano Gallo e Domenico Bellocco, di 44 anni.

Per l’accusa a fare da intermediari sarebbero stati l’avvocato Armando Veneto, Gregorio Puntoriero e Vincenzo Puntoriero.

Armando Veneto, Vincenzo Puntoriero, Gregorio Puntoriero, Vincenzo Albanese, Giuseppe Consiglio, Rosario Marcellino sono accusati di concorso esterno perché avrebbero favorito la cosca Bellocco ponendosi quale trait d’union tra la cosca e il giudice del Riesame, contribuendo, per la Dda, “a garantire la prosecuzione della vita dell’associazione ed in particolare della cosca Bellocco, per poter riaffermare e rafforzare il potere della stessa attraverso la ripresa operativa sul territorio dei ruoli che ciascuno dei tre soggetti posti in libertà vi ricopriva, con inevitabile vantaggio della associazione mafiosa, peraltro in un frangente di particolare fibrillazione interna al sodalizio criminale, determinato dall’intervento repressivo dell’autorità giudiziaria, volto ad arrestare l’agire contra legem dei sodali della cosca, funzionale al raggiungimento degli scopi associativi della cosca stessa”.