In manette il “Pedigree” dei Serraino: arrestato anche un poliziotto “informatore”

Reggio Calabria Cronaca

Contestualmente all’operazione dei Ros in Trentino, denominata “Perfido” (QUI), la squadra mobile reggina ha fatto scattare un altro e correlato blitz, chiamato “Pedrigree 2” (QUI), e col quale, andando a colpire le stesse articolazioni ‘ndranghetistiche, ha eseguito il fermo di cinque persone accusate di associazione mafiosa essendo ritenute appartenenti alla cosca Serraino, da cui dipenderebbe la cosiddetta “Locale” di Lona Lases, oggetto dell’inchiesta dei carabinieri altoatesini.

L’operazione della polizia, - coordinata dai Sostituti Stefano Musolino, Walter Ignazitto e Sara Amerio - ha fatto scattare le manette per i cinque indagati sussistendo il pericolo di fuga.

GLI INDAGATI

La misura ha colpito Antonio Serraino, detto “Nino”, nato a Cardeto il 19 febbraio del 1980, considerato l’attuale reggente dell’omonima cosca e figlio del defunto Domenico (classe 1945, detto “Mico”), nipote dell’anch’egli deceduto Francesco (classe 1929) alias “il boss della montagna” e fratello di Alessandro (classe 1975) detto “Lisciandro”.

Stesso provvedimento per Francesco Russo, detto Ciccio “lo Scalzo” o “’u Scazzu”, nato il 24 agosto del 1973 a Cardeto; Antonino Fallanca, nato a Cardeto il 13 agosto 1954; Paolo Russo, detto “Zamburro”, nato a Cardeto il 2 ottobre del 1961 ed ivi residente; e Sebastiano Vecchio, detto “Seby”, nato a Reggio Calabria l’8 febbraio del 1973, Assistente Capo Coordinatore della Polizia di Stato, in forza presso il Compartimento della Polfer di Venezia e attualmente sospeso in forza di un provvedimento disciplinare.

I COLLEGAMENTI TRENTINI

L’indagine riassume gli ulteriori esiti di investigazioni condotte anche con intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche e grazie alle dichiarazioni rilasciate da numerosi collaboratori di Giustizia reggini, anche recenti.

È il seguito di una precedente operazione, la Pedigree(QUI), con la quale Mobile reggina, il 9 luglio scorso, ha arrestato i presunti capi e gregari dei Serraino (QUI).

Le investigazioni sono state così integrate un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Trento, condotta dai Carabinieri del Ros, a carico dell’articolazione della cosca operante in Trentino Alto Adige, e in costante contatto con gli esponenti più autorevoli della “casa madre” reggina.

Convergenze ritenute di rilievo investigativo hanno portato al coordinamento promosso delle due Procure competenti sotto l’egida della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo.

I RUOLI DI “NINO” E “CICCIO LO SCALZO”

Le indagini, nell’insieme, avrebbero consentito di accertare che a capo del clan sia attualmente Antonio “Nino” Serraino. Il suo ruolo viene tratteggiato anche dai collaboratori di Giustizia che lo indicano come esponente di spicco della cosca e con un profilo più riservato rispetto a quello del fratello Alessandro, ma ugualmente strategico e di rango verticistico.

Il suo sarebbe insomma un ruolo particolarmente rivolto alla cura degli aspetti nevralgici legati alle infiltrazioni nell’economia ed ai rapporti con la politica e le istituzioni, sebbene abbia finito per assumere, nel corso degli ultimi anni, e dopo l’arresto del fratello e del cognato Fabio Giardiniere - entrambi coinvolti nell’operazione Epilogo (QUI) - una funzione più operativa prendendo in mano le redini della ‘ndrina, soprattutto nella gestione delle estorsioni e nella suddivisione dei proventi.

Russo, detto “Ciccio lo scalzo”, è stato invece indicato sempre dai collaboratori di Giustizia come uno storico componente dei Serraino, con il ruolo direttivo in seno al can di “capo società” e che avrebbe presieduto i riti di affiliazione e, dopo la sua recente scarcerazione, nel 2017, mantenuto un ruolo apicale, interloquendo direttamente con il capo Nino Serraino.

Le dichiarazioni dei collaboratori troverebbero riscontro nei risultati dell’indagine condotta dalla Squadra Mobile nell’ambito della prima operazione “Pedigree” e in quelle condotte dal Ros.

In alcune conversazioni, esponenti di vertice e sodali trentini della cosca lo descrivono come “un soggetto serio e azionista pericoloso, pronto a recarsi all’occorrenza in Alto Adige per dare manforte alla compagine mafiosa di quel territorio”.

L’IMPRENDITORE “DI ELEVATO LIGNAGGIO”

Sulla figura di Antonino Fallanca - amministratore unico della “Fallanca Colori”, una ditta che si occupa di produzione e commercializzazione all’ingrosso ed al minuto di vernici, colori, ferramenta, bricolage, di prodotti per l’edilizia e legname - hanno fatto riferimento sempre i collaboratori di Giustizia, indicandolo come “affiliato di elevato lignaggio criminale” della cosca, e la cui crescita imprenditoriale sarebbe stata alimentata dai suoi rapporti privilegiati con le ndrine Serraino e Rosmini.

Dalle indagini emergerebbe che abbia sfruttato il suo ruolo di esponente di vertice di una delle più temibili cosche di ‘ndrangheta, per indurre gli imprenditori locali ad avvalersi dei servizi della sua impresa.

LA “SOLIDARIETÀ CRIMINALE” DI “ZAMBURRO”

Sempre i collaboratori di Giustizia, nel corso dei recenti interrogatori, nel rievocare il passaggio alla “società maggiore” e il conferimento della dote della “Santa”, avevano indicato - tra i partecipanti al rito - un soggetto soprannominato “Zamburro”.

Gli accertamenti della Squadra Mobile, delegata sul punto dai magistrati della Dda, hanno portato a ritenere si tratti di Paolo Russo, ipotesi che sarebbe confermata anche dalle indagini della Dda trentina. .

Le intercettazioni documenterebbero infatti la “solidarietà criminale” di “Zamburro” con gli esponenti del locale altoatesino e testimonierebbero - in linea con quanto dichiarato dai collaboratori - la caratura mafiosa di Paolo, che sarebbe stato anche in grado di “battezzare” nuovi sodali.

LA “DOPPIA VESTE” DEL POLIZIOTTO LEGATO AL CLAN

Infine, a carico di Vecchio, detto “Seby”, assistente Capo della Polizia Ferroviaria di Venezia ma attualmente sospeso, per diversi anni consigliere comunale ed assessore a Reggio Calabria, dove ha rivestito anche la carica di Presidente del Consiglio, la Dda ha disposto il fermo associazione mafiosa sulla base di diverse chiamate in correità, che sarebbero state riscontrate peraltro dagli esiti di alcune intercettazioni effettuate nell’ambito del procedimento Pedigree e da cui si delineerebbe un gravissimo quadro indiziario.

Il poliziotto è stato dal 2002 al 2007 consigliere della VII Circoscrizione San Giorgio-Modena-San Sperato; dal 22 giugno 2007 al 5 luglio 2010 assessore alla Pubblica Istruzione della seconda giunta Scopelliti del Comune; e dal 20 giugno 2011 al 10 ottobre 2012 Consigliere, rivestendo, contestualmente, la carica di Presidente del Consiglio.

Diversi collaboratori – ritenuti tutti di “comprovata affidabilità”lo descrivono Sebastiano come soggetto “legato, a doppio filo” alla cosca Serraino, nonostante i ruoli istituzionali rivestiti.

Gli inquirenti sostengono infatti che Vecchio, agente a lungo dedicatosi all’attività politica, in questa presunta “doppia veste” non abbia esitato ad interloquire con i Serraino e con altri esponenti della criminalità organizzata reggina, ricavandone benefici elettorali ed assicurandogli una sua ventennale “messa a disposizione” per venire incontro alle loro più svariate esigenze.

Subito dopo la sua elezione e la successiva designazione come Assessore alla Pubblica Istruzione, erano sorte, però, delle tensioni impreviste con gli esponenti del sodalizio mafioso, degenerate persino nel danneggiamento incendiario di due sue auto.

I resoconti dei collaboratori - oltre che riscontrarsi reciprocamente – troverebbero una conferma in un episodio che gli investigatori definiscono “rappresentativo dell’estrema vicinanza di Sebastiano Vecchio alla ‘ndrina dei Serraino”.

L’AGENTE AI FUNERALI PRIVATI DEL BOSS

Il 12 marzo del 2010, il poliziotto – che all’epoca era assessore – avrebbe peso parte, nella chiesa di San Sperato, ai funerali del boss Domenico Serranino, detto “Mico”, capo della cosca e già sottoposto al 41bis, fratello del defunto Francesco “Don Ciccio”, meglio noto come il “re della montagna”, e padre di Alessandro “Lisciandro” oltre che, ovviamente, di “Nino”.

“Quella presenza – affermano gli inquirenti - non poteva che essere motivo di vanto per la storica ndrina reggina, che - agli occhi della popolazione e delle cosche alleate - si fregiava dell’ultima riverenza, attribuita al suo capo, da un rappresentante delle istituzioni”.

Ciò a maggior ragione perché il Questore pro tempore - tenuto conto della personalità del deceduto - aveva emanato un’apposita ordinanza vietando il trasporto della salma in forma pubblica e solenne.

Anche grazie alle intercettazioni telematiche ed ambientali disposte nel corso dell’indagine “Pedigree”, emergerebbe, inoltre, che Vecchio abbia intessuto delle “cointeressenze” con gli esponenti della cosca sino ad epoca recentissima, concorrendo nell’intestazione fittizia di un ristorante in realtà riconducibile al pregiudicato Maurizio Cortese, incontrando quest’ultimo durante la latitanza e fornendo informazioni riservate ai membri del clan.

I SEQUESTRI

Contestualmente alle due operazioni, è stato eseguito anche il sequestro preventivo - disposto dalla Direzione Distrettuale Antimafia - a carico della società “Fallanca Colori” di Reggio Calabria e del relativo patrimonio aziendale comprensivo di beni immobili, mobili registrati e disponibilità finanziarie, ed intestata ai familiari di Antonino Fallanca.

La Direzione Distrettuale Antimafia reggina ha ritenuto necessario procedere al sequestro preventivo in quanto risultata in rapporto di “conclamata strumentalità” con il reato di associazione mafiosa contestato allo stesso amministratore.