I tentacoli della ‘ndrangheta nel ricco nord e la “colonizzazione” del Trentino

Reggio Calabria Cronaca

Sempre ritenutoimmune” dalla permeabilità della ‘ndrangheta calabrese, il Trentino Alto Adige si è svegliato stamani con una certezza: quella di non essere affatto - sotto questo aspetto - esente dagli appetiti delle mafie.

Appetiti che non risalirebbero ad oggi né a soli pochi anni fa, ma che da almeno trent’anni sarebbero presenti in questa ricca parte del nord: si ritiene almeno dagli anni 80 o 90.

È questo il quadro delineato dai Carabinieri del Ros e dei Comandi di Trento, Roma e Reggio Calabria che quest’oggi hanno eseguito un’ordinanza cautelare, emessa dal Tribunale locale su richiesta della Procura, a carico di 19 persone (QUI) a cui si contesta, a vario titolo, l’associazione mafiosa in quanto considerati appartenenti alla ‘ndrangheta, ma anche lo scambio elettorale politico-mafioso, il porto e la detenzione illegale di armi e la riduzione o mantenimento in schiavitù.

Contestualmente, lo stesso Ros insieme alla polizia di Reggio Calabria, ha eseguito un fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Procura Distrettuale calabrese, a carico di altre cinque persone, indagate anch’esse per associazione mafiosa e altro, e sulle quali sono state registrate, in fase di indagine, delle convergenze che hanno quindi portato ad un coordinamento investigativo tra la Procura calabrese e quella altoatesina, sotto l’egida della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo.

Il risultato arriva così al termine di una indagine che avrebbe fatto luce sull’esistenza di una cosiddetta Locale a Lona Lases ma che estendeva la sua influenza sull’intera provincia del capoluogo trentino.

La stessa Locale sarebbe una “proiezione” della omonima struttura di Cardeto (nel reggino), in particolare delle cosche Serraino, Iamonte e Paviglianiti.

LE “LOCALI” E LE REGOLE DELLA “CASA MADRE”

L’indagine, dunque, nel documentare ancora una volta la presenza della ‘ndrangheta in regioni diverse dalla “casa madre”, ovvero la Calabria, secondo gli inquirenti confermerebbe l’esistenza di una sorta di “colonizzazione”, dovuta al trasferimento di affiliati calabresi in quelle regioni del Nord Italia caratterizzate da un maggiore sviluppo economico e da un più ampio grado di ricchezza generale.

In queste zone sono state, infatti, ricostituite le articolazioni criminali di base della ‘ndrangheta, definite appunto “Locali”, che hanno mutuato da quelle calabresi le regole di funzionamento e le forme delle iniziative criminali.

Ramificazioni che, presenti in Italia ma anche all’estero, e seppur con una certa autonomia operativa, rimangono sempre legate alla ‘ndrangheta dei territori di origine e a cui rispondono del loro operato e dipendono sotto un profilo delle regole e dell’organizzazione.

Per quanto concerne in particolare il Trentino Alto Adige, si sarebbe dunque ricostruito come il processo di insediamento della ‘ndrangheta nella Val di Cembra sia collocabile tra gli anni 80 e 90, verosimilmente poiché attratta dalla ricca industria legata all’estrazione del porfido.

LE RIUNIONI NELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE

Le indagini - che si sono sviluppate a partire dal 2017 ed hanno impegnato le varie articolazioni del Ros sul territorio nazionale - hanno inoltre consentito di definire i ruoli e le funzioni degli affiliati all’interno della Locale, al cui vertice si ritiene vi fosse Innocenzio Macheda, assistito dagli altri presunti esponenti di rilievo: Domenico Ambrogio, i fratelli Pietro e Giuseppe Battaglia, Domenico Morello e Demetrio Costantino, tutti imprenditori nel settore del porfido e dell’edilizia.

Ma gli inquirenti ritengono anche di aver identificato gli assetti della Locale di Cardeto al cui vertice vi sarebbe stato prima Saverio Arfuso e poi Antonino Fallanca, considerato legato alla cosca Serraino.

Le due Locali, poi, sarebbero state in stretti rapporti, tramite i rispettivi “capi”, soprattutto per quanto riguarda la trattazione di problematiche associative o per la programmazione delle attività illecite.

Fatta luce, infine, sul ruolo che avrebbe avuto un’associazione, la Magna Grecia che, formalmente è un centro di aggregazione culturale, ma che secondo gli investigatori sarebbe stata usata come luogo di riunione dei sodali e strumento per raccogliere fondi da destinare al sostentamento dei compartecipi.

DAL PROFIDO ALL’INFILTRAZIONE POLITICA

Sotto il profilo delle attività criminali, sarebbe così emerso che i membri della Locale di Lona Lases abbiano assunto il controllo di fatto del settore dell’estrazione e della lavorazione del porfido, maggiore risorsa economica del luogo, attraverso un processo di infiltrazione progressiva del tessuto imprenditoriale, che si ritiene avviato da Battaglia.

In questo settore, oltre a sistematiche attività in cui venivano vessate ed intimidite le maestranze, emergerebbe come siano state avviate operazioni speculative tramite la commercializzazione dei semilavorati in nero e la falsificazione dei bilanci di esercizio delle imprese a loro riferibili.

Inoltre, si sarebbe pianificata una progressiva infiltrazione della politica locale, con l’inserimento di sodali negli organi di governo del Comune di Lona Lases, e con lo scopo, evidentemente, di condizionarne l’attività politica e amministrativa.

In questo contesto, oltre ad aver intessuto una fitta rete di contatti con diversi ambiti della società civile - imprenditoria, istituzioni, politica - sarebbe stato anche offerto il sostegno elettorale ad alcuni candidati durante le consultazioni per il rinnovo di vari enti locali.

IL GRUPPO LAZIALE CON BASE A ROMA

Inoltre, si è scoperta l’operatività di un secondo gruppo mafioso attivo però a Roma e i cui membri - che si ritiene diretti da Domenico Morello, considerato “organico” alla Locale di Lona - sarebbero stati incaricati di gestire diverse imprese in Trentino e Lazio che, nei programmi degli indagati, avrebbero dovuto essere funzionali alle attività di riciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, di fatturazioni per operazioni inesistenti e per permeare gli ambienti istituzionali.

Da ultimo, il Ros, insieme alla Guardia di Finanza di Trento, è stato delegato ad eseguire un sequestro di beni mobili e immobili e rapporti bancari per un controvalore di un milione e mezzo di euro e considerati riconducibili ai soggetti che sono stati raggiunti oggi dal provvedimento cautelare.