‘Ndrangheta. Confiscati i beni ad imprenditore, gli inquirenti: “a disposizione dei clan”

Reggio Calabria Cronaca

Dal sequestro un anno fa alla confisca di oggi per i beni dell’imprenditore Giuseppe Nasso, 41enne di Rosarno, arrestato nell’estate del 2018 nell’ambito della operazione Ares (QUI).

Il provvedimento è scaturito dalla pronuncia della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria che ha ravvisato gli estremi per alienare gran parte del patrimonio nella sua disponibilità considerandolo oltre che di provenienza illecita come messo a disposizione dei clan locali.

I beni confiscati oggi, per un valore complessivo che supera i 2,5 milioni di euro, sono costituiti, in particolare, da un milione di euro le cui mazzette sarebbero state a disposizione dei boss della ‘ndrangheta; una impresa individuale, la «Fercolor», comprensiva del compendio aziendale; due immobili, un libretto di deposito titoli, una polizza assicurativa.

L’Autorità Giudiziaria ha anche comminato a Nasso, ad oggi ancora detenuto, la Sorveglianza Speciale con Obbligo di Soggiorno, che lo stesso dovrà scontare dopo la sua scarcerazione.

Il sequestro è conseguito all’arresto del 41enne, finito in carcere insieme ad una quarantina di persone ritenute appartenenti a due diverse cosche della ‘ndrangheta (QUI).

Le indagini hanno portato a documentare come l’imprenditore fosse “organico” ad uno dei clan, a favore del quale avrebbe messo a disposizione strutture e capitali importanti “in maniera strumentale”.

L’operazione Ares, che ha comportato un’imponente manovra investigativa coordinata dalla Procura della Repubblica reggina, portò a disarticolare due tra le più temibili articolazioni ‘ndranghetiste nella Piana di Gioia Tauro.

Le indagini - condotte dai Carabinieri tra il 2017 ed il 2018, sotto il coordinamento dell’Aggiunto Calogero Gaetano Paci e del Sostituto Adriana Sciglio - portarono ad individuare per la prima volta le cosche dei “Cacciola-Grasso” e dei soli “Cacciola”, contrapposte tra loro e radicate nella zona, riconducibili alla società di Rosarno del «mandamento tirrenico».

Gli approfondimenti svolti in quel contesto hanno portato ad individuare Nasso come uno dei soggetti “a disposizione” dei clan e per conto dei quali avrebbe detenuto un ingente patrimonio, costituito anche dalla disponibilità di un milione di euro in contanti che, suddiviso in delle confezioni termosigillate, era stato nascosto nel controsoffitto di un locale pubblico gestito dal 41enne prima del suo arresto.

Soldi considerati dagli investigatori come “estremamente importanti” per agevolare le iniziative delle cosche di riferimento, soprattutto per quanto concerneva l’acquisto delle partite di cocaina provenienti dai paesi dell’America Latina (QUI).