Operazione Shotgun: 4 arresti. Ecco come Sposato ha evitato il carcere

Reggio Calabria Cronaca

Avrebbero favorito la latitanza di Giovanni Sposato, presunto boss 52enne del clan Avignone-Zagari-Fazzalari-Viola, a cui appartiene il gruppo mafioso Sposato-Tallarida, poi catturato nel giugno del 2018 (QUI), e ricercato all’epoca nell’ambito dell’operazione “Terramara-Closed” (QUI).

Con questa accusa quattro persone sono finite stamani ai domiciliari dopo essere state arrestate, su ordine del Gip del Tribunale di Reggio Calabria, dalla Squadra Mobile del capoluogo e dagli uomini del Commissariato di Cittanova, assistiti dalle pattuglie dei Commissariati di Gioia Tauro, Polistena e Taurianova.

All’arresto si è giunti al termine delle investigazioni eseguite sotto il coordinamento dell’Aggiunto Calogero Gaetano Paci e del Sostituto Giulia Pantano, della Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri.

Le indagini sono iniziate il 13 dicembre del 2017, appunto all’indomani dell’operazione “Terramara-Closed” (QUI), quando Sposato si sottrasse all’arresto.

Indagini che sono state svolte con metodi investigativi tradizionali ma anche con il supporto di strumenti tecnologici, e che hanno consentito oggi, alle prime ore dell’alba, di fare scattare le manette per Antonino Fucile, 47enne di Taurianova; Giuseppe Rao, 59enne di Anoia; Giovanni Sposato, 29enne di Oppido Mamertina; e l’omonimo Giovanni Sposato, anch’egli 29enne e sempre di Oppido Mamertina.

In particolare, gli elementi investigativi acquisiti tra il 12 dicembre del 2017, data in cui il latitante sfuggì alla cattura, ed il 7 giungo del 2018, giorno del suo arresto, avrebbero permesso di riscostruire la rete di favoreggiatori che lo avrebbero aiutato a sottrarsi al provvedimento cautelare.

DAL PRONTO SOCCORSO AL CARCERE

In quella data, infatti, intorno alle 4 del pomeriggio, il presunto boss si presentò, accompagnato da parenti, al pronto soccorso di Polistena, sostenendo di avere dei problemi respiratori.

Sapendo delle patologie di cui era affetto e grazie al costante monitoraggio effettuato con attività tecniche, gli investigatori vennero a sapere che il ricercato era in quell’ospedale e andati subito sul posto lo intravidero proprio mentre i medici gli prestavano le prime cure.

Contestualmente all’arrivo nel pronto soccorso degli agenti di Cittanova, l’Ufficiale di Polizia giudiziaria responsabile della Squadra Investigativa dello stesso Commissariato ricevette una telefonata dal legale di fiducia del latitante, che comunicava proprio che il suo fosse nell’ospedale di Polistena e che voleva costituirsi.

La ricostruzione degli eventi portò a ritenere però che in realtà Sposato, così come sostiene anche il Gip, non avesse alcuna intenzione di consegnarsi alla polizia, anzi, che quello spostamento avrebbe dovuto avvenire il più possibile “in anonimato”, così come dimostrerebbe la presenza dei fiancheggiatori e di alcuni familiari che erano all’esterno del nosocomio e che secondo gli investigatori stavano controllando la zona circostante.

Insomma, secondo gli inquirenti, Sposato avrebbe chiamato il suo legale solo quando si sarebbe reso conto della presenza della Polizia.

I RUOLI DEGLI ARRESTATI

Secondo l’accusa, insomma, e quanto alla singola posizione dei quattro, si contesta che Antonino Fucile, soggetto non in rapporti di parentela con gli Sposato ma ritenuto da sempre legato alla famiglia - aveva infatti lavorato per molti anni in numerose imprese riconducibili al gruppo - avrebbe messo a disposizione del latitante un’abitazione di sua proprietà, in contrada Latinis di Taurianova.

I due Giovanni Sposato (29enni) sarebbero stati invece coloro che gli avrebbero fornito supporto, assicurando anche il necessario scambio di informazioni con la sua famiglia.

Giuseppe Rao, infine, infermiere professionale nella cardiologia dell’ospedale di Polistena, avrebbe garantito al ricercato dei consulti sanitari e, in occasione del suo ricovero in ospedale del 7 giugno del 2018, si sarebbe attivato affinché ricevesse tutte le cure del caso assicurando la riservatezza della sua catena comunicativa.