I fratelli della droga e un giro da 160 chili di coca: 12 arresti

Reggio Calabria Cronaca

Qualcosa come 52 kg chili di cocaina sequestrati ed un traffico di droga documentato che si stima intorno ai 160 chili dello stesso stupefacente che, sul mercato, valeva qualcosa come 16 milioni di euro.

Questo, nelle linee generali, il giro d’affari che gli inquirenti ritengono fosse gestito dai fratelli Domenico e Francesco Mammoliti e Giovanni Giorgi, tre della dozzina di persone per cui stamani sono scattate le manette nell’ambito dell’operazione Koleos (QUI), e con l’accusa di aver partecipato, con ruoli diversi, ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, in particolare ed appunto di cocaina.

L’ordine d’arresto, in carcere, è stato emesso dal Gip di Reggio Calabria l’8 luglio scorso, su richiesta della Dda e ha coinvolto: Antonino Ferrinda, nato a Oppido Mamertina, classe 1949, attualmente detenuto; Giuseppe Ferrinda, classe 1977 e residente a Sant’Eufemia d’Aspromonte; Maria Filastro, classe 1974 e residente a Careri (moglie di Domenico Pellegrino e madre di Antonio Pellegrino.

Inoltre, Giovanni Giorgi, detto “U Famosu”, classe 1984 e residente a San Luca, cognato di Francesco Mammoliti e nipote di Giuseppe Giorgi, classe 1961, detto “u capra”, arrestato il 2 giugno del 2017 (QUI) dopo una latitanza di ventitré anni e condannato a 28 anni e 9 mesi di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, ritenuto figura di spicco della famiglia “Giorgi-Romeo” denominata Stacchi.

Ed ancora, Giovanna Laganà, classe 1968 e di Reggi Calabria (moglie di Francesco Parrelli); Vincenzo Luciano, classe 1980 di Siderno; Domenico Mammoliti, classe 1968 di Bovalino (sottoposto ai domiciliari e fratello di Francesco e Antonio Mammoliti); Francesco Mammoliti, classe 1973 di Bovalino (attualmente ai domiciliari e fratello di Antonio e Domenico Mammoliti, oltre che cognato di Giovanni Giorgi, alias “U Famosu”).

Infine, Francesco Parrelli, classe 1969 di Reggio Calabria (marito di Giovanna Laganà); Antonio Pellegrino (di Domenico e Filastro Maria), classe 1996 di Careri); Domenico Pellegrino, classe 1971 di Careri (attualmente detenuto, marito di Maria Filastro e padre di Antonio Pellegrino); e Vincenzo Scarfone, classe 1981 di Caraffa del Bianco (attualmente ai domiciliari).

Sono invece attivamente ricercati, anche all’estero, altri due soggetti colpiti dal provvedimento restrittivo.

I VERTICI DELL’ORGANIZZAZIONE

L’indagine, condotta dal Commissariato di Siderno, era iniziata con lo scopo di catturare il latitante Rocco Mammoliti, poi arrestato nei Paesi Bassi il 9 giugno del 2016 (QUI) ed estradato in Italia il 18 agosto dello stesso anno.

Nel corso nelle investigazioni - sotto le direttive del Procuratore Aggiunto Giuseppe Lombardo e dei Sostituti Diego Capece Minutolo e Alessandro Moffa - grazie a numerosi intercettazioni telefoniche ed ambientali eseguite dagli agenti si è inizialmente riusciti ad accertare l’esistenza, dall’ottobre 2015 al febbraio 2016, nell’area ricompresa tra Bovalino, Careri e altri comuni della Locride, di un’articolata organizzazione criminale, con sbocchi in Puglia e Sicilia, impegnata nel lucroso business della droga.

Secondo gli inquirenti i principali esponenti sarebbero stati i fratelli Domenico e Francesco Mammoliti, e Giovanni Giorgi, che avrebbero ricoperto un ruolo centrale e di vertice del gruppo, composto da più di dieci persone.

Gli inquirenti hanno poi scoperto diverse attività di spaccio di cocaina da parte degli indagati che, valutate complessivamente nel quadro di una concatenazione logica degli eventi e con il ricorso a criteri interpretativi “improntati a razionalità e logicità”, dimostrerebbero anche la sussistenza del reato contestato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.

LE BASI LOGISTICHE

Il sodalizio, inoltre, disponeva di efficienti basi logistiche individuate nella residenza di Rizziconi di Antonino e Giuseppe Ferrinda e in un capannone a Benestare (considerato il quartier generale) appartenente a Antonio, Domenico e Andrea Pellegrino.

Proprio lì, il 7 gennaio del 2016, vennero arrestati i coniugi Pellegrino-Filastro, accusati del trasporto di oltre 3 kg di cocaina, e di ritrovare un altro quantitativo della stessa sostanza oltre che soldi ed armi (QUI).

In particolare nel corso della perquisizione nel capannone furono scovati allora anche due involucri con oltre 1.502 di cocaina; tre fucili semiautomatici calibro 12; un revolver 357 magnum cal. 357; una pistola Beretta 92 cal. 9X19 senza matricola; un’altra Beretta modello 98 cal. 9X21 con la matricola punzonata; 40 cartucce calibro 7,62x39; 44 calibro 7,65; 18 calibro 357; 56 calibro 12 e un caricatore per una pistola cal. 7,65.

Qualche giorno dopo, poi, era il 20 di febbraio dello stesso anno, venne arrestato anche Vincenzo Scarfone, anch’egli accusato del trasporto di un’ingente quantitativo di cocaina, parliamo di 49 kg, nascosti anche qui nella sua auto, una Renault “Koleos, da cui preso poi il nome l’operazione di oggi.

L’associazione avrebbe potuto poi contare su delle basi logistiche insospettabili, come a Condofuri, dove un camping di un soggetto indagato a piede libero, sarebbe stato usato, tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, come luogo sicuro dove trattare gli affari con alcuni narcotrafficanti colombiani e albanesi, ma a carico dei quali, tuttavia, non sono stati acquisiti elementi tali da potergli addebitare condotte rilevanti penalmente.

I TELEFONI CRIPTATI E IL GERGO

Gli indagati sarebbero stati inoltre molto accorti nel gestire il business. La droga, ad esempio, veniva confezionata in panetti sotto vuoto e trasportata a bordo di auto dentro dei vani segreti che erano stati realizzati da meccanici di fiducia e muniti di telecomandi che azionavano i congegni elettronici di apertura.

Stessa attenzione anche nelle comunicazioni tra di loro, che sarebbero avvenute sempre con telefoni codificati, ricorrendo a termini criptici e allusivi per indicare lo stupefacente (chiamato “cose”, “olive, “cagnolino”, ecc …), o cambiando velocemente e freneticamente le schede telefoniche, quasi sempre intestate a terze persone, ed utilizzando sim card estere senza intestatario e telefonini Blackberry.

Durante le indagini si è poi scoperto come i vertici dell’organizzazione non si fossero fatti scrupolo di avvalersi della collaborazione di un minorenne, peraltro sotto l’egida dei genitori.

LA PROFESSIONALITÀ DEI PRESUNTI CAPI

Secondo gli investigatori, quindi, sarebbe stata “impressionante” la capacità dei fratelli Francesco e Domenico Mammoliti e di Giovanni Giorgi di movimentare delle quantità consistenti di cocaina, da un giorno all'altro, senza soluzione di continuità.

Ad esempio, il 6 novembre del 2015, dall’attività tecnica emerse che i Mammoliti avrebbero consegnato 6 panetti di coca a Giuseppe Ferrinda per la loro distribuzione allo staff dei corrieri.

Due giorni prima gli stessi Mammoliti avevano dato ad Antonino e Giuseppe Ferrinda, deputati allo stoccaggio, altri 12 panetti della stessa droga.

Sarebbero stati sempre i due fratelli Mammoliti, poi, a gestire in prima persona - “e con estrema professionalità” - le trattative illecite sulle quantità e modalità di consegna dello stupefacente, occupandosi della consegna della attraverso i coniugi Domenico Pellegrino e Maria Filastro, oltre che per mezzo di Vincenzo Scarfone: i tre sono ritenuti essere dei fidatissimi sodali.

IL RUOLO DEI DUE CONIUGI

Lo stesso viene detto anche per i fratelli Giovanni e Giuseppe Giorgi che in più occasioni sono stati intercettati nel dare disposizioni ai coniugi Pellegrino sulla percentuale di taglio che avrebbero dovuto applicare ad una determinata partita di cocaina.

La tesi è che proprio i Pellegrino si occupassero tanto del confezionamento sotto vuoto dello stupefacente che del suo trasporto – come corrieri al servizio dei Mammoliti e dei Giorgi - consegnando la cocaina in Sicilia, in provincia di Messina e Catania, e in Puglia, tra Bari, Brindisi, Taranto e Lecce.

Sarebbero stati poi loro a prendere la contropartita economica da versare ai capi presso la macelleria di proprietà di Domenico Pellegrino.

Gli investigatori sostengono che in una delle tante trasferte nelle province di Taranto, Lecce e Brindisi, in un solo pomeriggio Domenico Pellegrino, la moglie Maria Filastro e Giovanna Laganà, avrebbero consegnato per conto dei fratelli Giorgi un quantitativo di cocaina del valore di 340 mila euro, somma ricevuta in banconote di vario taglio, raccolta in mazzette e nascosta nel vano ricavato nell’autovettura in quantità tale da far commentare a Maria Filastro che “... la macchina le sta vomitando ...” ovvero che erano così tante da non entrare addirittura nel nascondiglio.

LO STOCCAGGIO E I CORRIERI

Come accennavamo, allo stoccaggio della droga sarebbero stati deputati Giuseppe e Antonio Ferrinda, rispettivamente padre e figlio, e che avrebbero goduto della più ampia fiducia da parte dei vertici del sodalizio a cui sarebbero tati risultati “organici”. Lo stupefacente sarebbe stato “stipato” dentro la loro proprietà, a Rizziconi, di volta in volta messa a disposizione dei corrieri tra cui vengono identificati Domenico e Antonio Pellegrino, Maria Filastro, Francesco Parrelli, Giovanna Laganà, Vincenzo Scarfone e Vincenzo Luciano.

Proprio quest’ultimo avrebbe consegnato o ricevuto, ed in maniera sistematica, dei quantitativi ingenti di cocaina.

La figura di Vincenzo Scarfone, invece, sarebbe emersa nel 2015, quando avrebbe incontrato i fratelli Mammoliti, assumendo un ruolo attivo nell’organizzazione criminale all’indomani dell'arresto dei coniugi Pellegrino.

Dalle attività tecniche emergerebbe che Scarfone abbia predisposto il vano nascosto nella sua Renault “Koleos” per trasportare la droga elemento che fa ritenere come lo stesso fosse entrato a far parte dello staff dei corrieri del gruppo effettuando, nel mese di febbraio 2016 e sino al suo arresto, diversi viaggi per la consegna della cocaina necessaria ad approvvigionare le piazze di spaccio messinesi e catanesi.

Le attività del narcotraffico, difatti, sarebbero proseguite senza interruzioni anche dopo gli arresti di Pellegrino, Filastro e Scarfone, il che dimostrerebbe una spiccata capacità di riorganizzazione del sodalizio.

IL PERICOLO DI REITERAZIONE

I Mammoliti e Giorgi, essendo ritenuti pertanto i capi, promotori ed organizzatori del sodalizio sono stati raggiunti da un ordine d’arresto in carcere per il “concreto pericolo di reiterazione della condotta criminosa”.

Stessa misura adottata anche per Antonio e Giuseppe Ferrinda, Domenico e Antonio Pellegrino, Maria Filastro, Francesco Parrelli, Giovanna Laganà, Vincenzo Scarfone e Vincenzo Luciano.

Da quanto appurato il gruppo sarebbe riuscito a movimentare, tra l’ottobre 2015 e il febbraio 2016, circa 160 kg di cocaina per un valore all’ingrosso di circa 7 milioni di euro.

Le indagini sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Giovani Bombardieri, ed eseguite dagli uomini del Commissariato di Polizia di Siderno e dalla Squadra Mobile del capoluogo insieme ai colleghi dei Reparti Prevenzione Crimine della Calabria.