Operazione Darknet, blitz anti camorra. Fermi e sequestri anche in Calabria

Calabria Cronaca

Fermi e sequestri anche in Calabria nell’ambito dell’operazione anti camorra Darknet, portata a termine dai finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Rimini con la collaborazione del Gico di Bologna.

Questa mattina le fiamme gialle hanno arrestato otto persone ed eseguito un provvedimento di obbligo di firma nei confronti di un’altra.

Ben 300 militari della Guardia di finanza, coordinati e diretti dalla Direzione Distrettuale Antimafia, hanno eseguito - in 15 province di 8 regioni italiane – 80 perquisizioni e ad un’ordinanza emessa dal Gip di Bologna che ha disposto misure cautelari nei confronti di 9 persone: 5 in carcere, 3 agli arresti domiciliari e l’obbligo di dimora.

Gli indagati sono accusati di associazione a delinquere aggravata dai metodi mafiosi e per aver favorito i clan di appartenenza, in particolare quelli dei “Sarno” e dei “Casalesi”.

Le accuse vanno dalla corruzione alla turbativa d’asta al riciclaggio. L’operazione ha portato anche al sequestro di 17 aziende e beni per oltre 30 milioni di euro.

Allo stesso tempo è stato eseguito un decreto con il quale lo stesso Gip ha ordinato il sequestro preventivo (in 11 province) delle quote sociali e dei beni aziendali di ben 17 aziende ritenute infiltrate dalla criminalità organizzata e intestate a prestanome, operanti nei settori della edilizia, ristorazione, commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, sale gioco, impiantistica, noleggio auto, il tutto per un valore complessivo stimato in 30 milioni.

Sequestro per equivalente in ordine ai reati di riciclaggio e corruzione di ulteriori beni e disponibilità per un valore di quasi un milione di euro.

L’indagine, partita nel 2017, si è conclusa dopo due anni con fermi e sequestri in Emilia Romagna, Campania, Calabria, Lazio, Lombardia, Marche, Basilicata e Piemonte.

Tutto parte da dei provvedimenti di sorveglianza speciale emessi nei confronti di alcuni casalesi e campani trasferitisi a Cattolica e Riccione.

Per l’accusa il gruppo avrebbe avuto come base la città di Cattolica, ma avrebbe avuto ramificazioni anche ad Avellino, Napoli, Salerno, Potenza, Matera, Pesaro-Urbino, Forlì-Cesena, Parma, Torino e Milano.

La scalata - secondo gli inquirenti - sarebbe partita dalla bassa Romagna, dove persone vicine e addirittura parenti dei casalesi e dei Sarno, avrebbero avviato affari nel settore delle costruzioni, degli oli industriali, della ristorazione ma anche nelle sale scommesse.

Per l’accusa, il gruppo si sarebbe attivato nel settore delle aste giudiziarie alterandone il corso, arrivando quindi anche in altre province (Avellino, Napoli, Salerno, Potenza, Matera, Pesaro-Urbino, Forlì-Cesena, Parma, Torino, Milano).

GLI INDAGATI

Le indagini avrebbero portato alla luce la presenza di un gruppo che, stanziato nella provincia riminese, sarebbe stato retto da Giovanni Iorio (oggi finito in carcere), pluripregiudicato, sorvegliato speciale, cognato di Vincenzo Sarno (ritenuto a capo dell’omonimo clan napoletano e oggi collaboratore di giustizia).

Con lui anche Luigi Saverio Raucci (anch’egli finito in carcere), pluri-pregiudicato, gravato da 4 condanne definitive per reati contro la persona e in materia di armi, genero di Enrico Zupo (pluripregiudicato, gravato da condanne definitive per 25 anni complessivi di reclusione per traffico di stupefacenti ed indiziato di appartenere al “Clan dei Casalesi”), nonché cugino di Giovanni Iorio.

Del gruppo, sempre secondo gli investigatori, avrebbe fatto parte anche Antonio De Martino (in carcere), definito il volto “pulito” dell’associazione ed incaricato della gestione delle diverse società operanti nel settore dell’impiantistica industriale, di cui Iorio e Raucci sarebbero stati soci occulti ma effettivi proprietari.

L’ORGANIZZAZIONE

Con loro sono stati individuati altri due livelli: il primo costituito da coloro che avrebbero messo a disposizione del gruppo la propria attività: Salvatore Zupo (in carcere), Francesco Cercola (in carcere), Pasquale Coppola (ai domiciliari), Tania Ginefra (ai domiciliari).

Il secondo livello sarebbe invece costituito da tutte quelle persone, oltre 30, che si sarebbero prestate nell’attività illecita di interposizione fittizia.

Ma gli investigatori non hanno la certezza della loro partecipazione attiva al gruppo, dato che si tratta di persone reclutate all’occorrenza per ragioni di parentela o vicinanza con i singoli indagati, come nel caso di Paola Signorino (incaricata di pubblico servizio e finita ai domiciliari) e Gennaro Stapane (destinatario dell’obbligo di dimora).

L’EVOLUZIONE

Le indagini avrebbero dunque documentato le fasi evolutive del gruppo. Questo, per agevolare l’operatività dei clan camorristici sarebbe coì riuscito a infiltrarsi nell’economia legale della Romagna e delle aree limitrofe, controllando diverse attività economiche in diversificati settori imprenditoriali, come l’edilizia, la ristorazione e l’impiantistica industriale, drenando risorse mediante fatturazioni per operazioni inesistenti tra le società a loro riconducibili.

Inoltre, avrebbe asservito la funzione di due incaricati di pubblico servizio agli scopi dell’organizzazione criminale, per l’acquisizione illegale di appalti pubblici; poi avrebbe reinvestito e auto-riciclato in attività imprenditoriali, immobiliari e finanziarie, ingenti somme di denaro derivanti da attività delittuose.

Infine, avrebbe intestato a terzi ingenti patrimoni e attività commerciali frutto di attività estorsive e dello spaccio di stupefacenti; ed affermato il proprio controllo sul territorio basso romagnolo e potentino, attraverso la repressione violenta dei contrasti interni.

Giovanni Iorio e Luigi Saverio Raucci, nonostante una situazione reddituale insufficiente a soddisfare i fabbisogni primari, avrebbero invece avuto un’elevata disponibilità economica, derivante - come risulterebbe dalle intercettazioni telefoniche e ambientali - dalla loro partecipazione in numerose società dei più disparati settori economici e formalmente intestate a prestanome.

I due, con la connivenza di un commercialista, Pasquale Coppola, avrebbero spostato gli utili mediante emissione di fatture per operazioni inesistenti e per centinaia di migliaia di euro, per poi procedere al prelievo in contanti dei pagamenti ricevuti.

Inoltre, società di fatto riconducibili ai due pregiudicati sarebbero riuscite ad ottenere – si presume tramite pratiche corruttive e alterando gare d’appalto - l’esecuzione di lavori pubblici all’interno della Stazione Sperimentale per l’industria delle Conserve Alimentari (SSICA) di Parma, fondazione pubblica interamente controllata dalla Camera di commercio di quella Provincia.

I proventi illeciti sarebbero stati riciclati anche utilizzando una sala giochi e scommesse di Cattolica, riconducibile sempre agli indagati principali, ma gestita formalmente da Tania Ginefra. Quest’ultima, per riciclare le somme provenienti dai reati in contestazione, avrebbe simulato in più circostanze delle vincite al gioco.

(ultimo aggiornamento 12:28)