A lavoro o in carcere: pizzicati e denunciati 30 “furbetti” del Reddito di Cittadinanza

Reggio Calabria Cronaca

Se ne sarebbero addirittura vantati apertamente ed in giro per il paese: ovvero di riscuotere il reddito di cittadinanza senza averne effettivamente e palesemente i requisiti. Elemento che non è però passato inosservato ai carabinieri della stazione locale che hanno deciso così di vederci chiaro.

È partita da qui un’indagine che gli investigatori dell’Arma non a caso hanno chiamato in codice “Apate”, rifacendosi ad uno degli spiriti contenuti nel celebre vaso di Pandora che nella mitologia greca rappresenta la divinità dell’inganno.

E un vero e proprio “inganno” quello che viene oggi contestato a ben trenta persone residenti o domiciliate ad Africo Nuovo, nel reggino, tutte denunciate per falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o altrui.

LE FALSE DICHIARAZIONI ALL'INPS

I provvedimenti arrivano al termine delle investigazioni avviate e condotte dal gennaio scorso e fino ad oggi dai militari della Stazione locale, scaturite anche da una pervasiva attività di monitoraggio messa in atto nei confronti di soggetti ritenuti “di maggior interesse operativo”.

Le indagini, prevalentemente tradizionali e documentali, avvalorate anche da numerosi servizi di osservazione e controllo, hanno portato ad accertare come i trenta deferiti si siano procurati un profitto ingiusto ottenendo appunto ed indebitamente il reddito di cittadinanza.

Secondo gli investigatori, per indurre in errore l’Inps, avrebbero attestato falsamente o omesso dettagli sulla situazione anagrafica, patrimoniale e reddituale personale o del proprio nucleo familiare, così da rientrare nei parametri previsti per ottenere il beneficio.

LE 50 DOMANDE E I "CASI SOSPETTI"

I militari hanno dapprima reperito tramite l’Istituto di previdenza i dati dei relativi percettori del reddito e tutta la documentazione allegata.

Poi hanno analizzato il materiale acquisito su oltre 50 domande raccolte, incrociando le informazioni con quelle ottenute dal controllo del territorio e dalle banche dati dell’Arma arrivando a contestare che effettivamente tutti gli indagati non avessero diritto al “beneficio”.

Tra i numerosi casi “sospetti, i carabinieri ne hanno scoperti alcuni anche paradossali, come quello di un soggetto che non avrebbe dichiarato entro il termine previsto di trenta giorni di essere stato sottoposto a una misura cautelare.

Oppure quello di un sorvegliato speciale di Africo Nuovo che avrebbe indicato la sua residenza in un comune diverso, così da omettere, all’interno della dichiarazione prevista, l’indicazione che entrambi i genitori percepissero la pensione di invalidità o di vecchiaia.

Ed ancora, quello di una donna, sempre residente ad Africo, che non avrebbe riferito che il marito, un sorvegliato speciale, fosse stato recentemente assunto in un’azienda della zona come bracciante agricolo.

I militari hanno stimato che le indennità percepite indebitamente avrebbero comportato un danno erariale di poco più di 90 mila euro.

L’esauriente quadro accusatorio delineato dagli investigatori potrà ora permettere all’Inps di sospendere alla fonte l’erogazione dei benefici, in attesa di eseguire gli accertamenti opportuni finalizzati alla revoca definitiva degli stessi.