Blitz anti ‘ndrangheta: decapitati i vertici della cosca Labate, 14 arresti

Reggio Calabria Cronaca

Capi, luogotenenti e affiliati della temibile cosca reggina dei Labate, meglio nota come i “Ti Mangiu”, sono finiti in arresto nel corso di una vasta operazione della polizia eseguita all’alba di stamani.

Le manette sono scattate, in totale, ai polsi di quattordici persone, dodici delle quali sono state portate in carcere ed altre due ai domiciliari. La Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica della città dello Stretto gli contesta, a vario titolo, l’associazione mafiosa e diverse estorsioni aggravate dal metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ‘ndrangheta.

Il blitz - condotto da circa cento investigatori della Squadra Mobile locale con il coordinamento dello Sco, il Servizio Centrale Operativo, e con il supporto degli uomini del Reparto Prevenzione Crimine - ha portato anche all’esecuzione di numerose perquisizioni e sequestri di imprese e società.

LE AZIENDE DEL CLAN

L’operazione Helianthus - così come l’hanno chiamata in codice gli inquirenti - è scattata non solo a Reggio ma anche a Cosenza e Roma: è qui che sono stati eseguiti infatti gli arresti e le perquisizioni.

L’inchiesta della Dda, sviluppata con un’articolata indagine della Mobile cittadina, avrebbe consentito di ricostruire gli assetti e le dinamiche criminali del clan Labate, come dicevamo una delle più potenti articolazioni della ‘ndrangheta unitaria e che controlla nella città dello Stretto il popoloso quartiere Gebbione.

I poliziotti stanno mettendo i sigilli ad alcune aziende che sono ritenute nella disponibilità degli appartenenti alla cosca e che operano per lo più nel settore alimentare e della distribuzione di carburanti. Società il cui valore complessivo è stimato in circa un milione di euro.

DAL GIOCO ONLINE ALLE CORSE CLANDESTINE

L’indagine, dunque, farebbe luce sugli affari economici dei Labate, svelando anche “un certo dinamismo” in alcuni settori illeciti, come quello delle scommesse on line, delle slot machines e dello sfruttamento delle corse clandestine di cavalli.

Nonostante questi businessparalleli” gli investigatori sostengono che il clan avrebbe però mantenuto un elevato interesse per quello che rappresenta il vero core business delle attività criminali, e da sempre espressione dello strapotere mafioso dei Ti Mangiu”.

Parliamo del ricorso sistematico ad attività estorsive nei confronti di operatori economici, commercianti e titolari di piccole, medie e grandi imprese, specialmente di quelli impegnati nell’esecuzione di appalti nel settore dell’edilizia privata nell’area che ricade sotto il dominio della consorteria.

LA PESCHERIA CHE DAVA FASTIDIO ALL'AFFILIATO

Estorsioni per alcune centinaia di migliaia di euro che sarebbero state imposte, con minacce pesanti, agli imprenditori durante i lavori di realizzazione di complessi immobiliari nel quartiere Gebbione, controllato capillarmente dai Labate.

Ad alcuni titolari delle imprese veniva imposto con la forza dell’intimidazione l’acquisto di prodotti edili in aziende nella disponibilità del clan.

Ad un commerciante sarebbe stato anche impedito di aprire una pescheria nello stesso quartiere perché avrebbe dato fastidio ad uno stesso negozio il cui titolare è ritenuto un affiliato alla cosca.

LE AGENDE DEL BOSS

Le investigazioni che hanno portato al blitz di oggi sono partite nel 2012. L’anno successivo, esattamente il 12 luglio del 2013, portarono alla cattura del latitante Pietro Labate (QUI), considerato come il leader carismatico e il capo storico della cosca che porta il suo nome.

Il “boss”, nell’aprile 2011, si era sottratto ad un fermo di indiziato di delitto emesso dalla Dda che allora fece scattare le manette a capi e gregari dei clan Tegano e Labate (QUI), nell’ambito dell’operazione denominata “Archi” (QUI).

Al culmine di un’intensa e laboriosa attività investigativa, supportata da diverse intercettazioni telefoniche, ambientali e da sistemi di video sorveglianza, nell’estate del 2013 gli investigatori della Squadra Mobile localizzarono e catturavano il boss latitante nel suo feudo, mentre si muoveva a bordo di uno scooter vicino al torrente S. Agata.

Nel covo in cui aveva trovato rifugio, non distante dal luogo in cui era stato intercettato, vennero scoperte alcune agende sulle quali aveva annotato nomi di persone, importi e denominazioni di ditte. Appunti rivelatisi poi determinanti ai fini dell’accertamento della penetrazione dei Labate nel tessuto di alcune attività economiche e commerciali locali.

LA FORZA NEI LEGAMI DI SANGUE

Oltre al presunto boss Pietro Labate, a cui il provvedimento è stato notificato in carcere, agli arresti sono finiti oggi anche il fratello Antonino, ritenuto il reggente della cosca durante il periodo di latitanza di Pietro; il cognato (di entrambi) Rocco Cassone, e i luogotenenti e nuove leve della consorteria.

Le intercettazioni e le dichiarazioni dei collaboratori di Giustizia, hanno consentito di individuare delle gravissime vicende criminali che hanno determinato il graduale potenziamento della cosca che fonda la sua forza nei legami di sangue che uniscono i componenti di vertice ad altre potenti cosche e nei solidi rapporti di alleanza con famiglie ‘ndranghetistiche dei tre mandamenti.

QUATTRO LE AZIENDE SEQUESTRATE

Nel corso dell’operazione sono state sequestrate 4 società, ritenute nella disponibilità dei capi e dei luogotenenti della cosca. Si tratta di una stazione di carburanti, di un esercizio commerciale di prodotti surgelati, di un’azienda operante nel settore dei prodotti di carta e plastica per gli alimenti e la ristorazione, di un negozio di vendita al dettaglio di pitture e vernici. Il valore dei beni e di circa un milione di euro.

GLI ESTORTI E IL CORAGGIO DI DENUNCIARE

Per la prima volta, alcuni affermati imprenditori reggini del settore edile ed immobiliare, sentiti dai magistrati della DDA di Reggio, dopo un’iniziale ritrosia dovuta al comprensibile timore di subire dure rappresaglie, ma desiderosi di liberarsi dall’opprimente giogo estorsivo, hanno deciso di collaborare denunciando di essere vittime di ripetute estorsioni consistenti nel pagamento di ingenti somme di denaro, anche nell’ordine di 200 mila euro, ad esponenti di rilievo dei Labate, o nell’imposizione dell’acquisto di prodotti dell’edilizia presso attività commerciali nella disponibilità del clan.


QUI I DETTAGLI