Così le cosche crotonesi e sidernesi avevano “infettato” l’Umbria. Doppio blitz, 27 arresti

Crotone Cronaca

Imprenditori compiacenti nel business della fatture “false”. Frodi alle banche. Gestione del traffico della droga. Un “monopolio” nei lavori edili e, dulcis in fundo, anche un “aiutino” ai candidati alle elezioni amministrative locali.

Con queste premesse non pare un caso che gli investigatori abbiano voluto chiamare due differenti indagini - ma tra loro correlate - infectio” e “Core Business(QUI).

Nel primo caso ipotizzando una vera e propria “infezione” della ‘ndrangheta calabrese in una regione apparentemente scevra da dinamiche mafiose come la lussureggiante Umbria. Nel secondo di caso, puntando l’attenzione e svelando il vero e proprio “Core Business” (ovvero le principali attività economiche) svolte dalle cosche crotonesi e reggine nella stessa area del Centro Italia.

Stamani però si sarebbe messa la parola fine, quando sono entrati in azione gli uomini del Servizio Centrale Operativo e delle Squadre Mobili di Perugia, Catanzaro e Reggio Calabria, che tra la nostra regione e quella umbra hanno fatto scattare le manette ai polsi di ben 27 persone e sequestrato beni per un valore che si aggira intorno ai 10 milioni di euro.

I soggetti destinatari delle misure sono ritenuti difatti appartenenti alle cosche Trapasso e Mannolo di San Leonardo di Cutro (nel crotonese) e dei Commisso di Siderno (nel reggino), e alle “significative” proiezioni in Umbria.

Come accennavamo, la matassa delle indagini di dipana tramite due operazioni. La prima è quella della DDA di Catanzaro (coordinata dai Sostituti Antonio De Bernardo, Paolo Sirleo e Domenico Guarascio), e denominata “Infectio”, condotta dallo Sco e dalle Mobili di Perugia e del capoluogo calabrese.

DALLA “MALAPIANTA” ALL’INFECTIO

Il Gip Paola Ciriaco ha firmato in questo caso 23 misure cautelari (20 che prevedono il carcere e altre tre i domiciliari) nei confronti altrettanti soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e occultamento di armi clandestine, minacce, violenza privata, associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di una serie di reati di natura contabile o economico-finanziaria e strumentali alla realizzazione “sistematica” di frodi ai danni del sistema bancario.

Nello specifico, l’indagine, approfondendo quanto emerso già nell’operazione “Malapianta” dello scorso maggio (QUI), avrebbe svelato una perdurante operatività delle cosche di ‘ndrangheta Mannolo, Zoffreo e Trapasso di San Leonardo di Cutro e la loro proiezione in Umbria, dove, attraverso collegamenti stabili con la casa madre”, avrebbero impiantato un traffico di droga, anche con la complicità di trafficanti albanesi, e attraverso le attività estorsive anche minato la libera concorrenza per quanto riguarda i lavori edili, e non per ultimo attivandosi a favore di candidati alle elezioni amministrative locali.

Inoltre, il gruppo, al quale viene contestata anche la detenzione di armi, avrebbe inquinato il tessuto economico costituendo delle società, spesso intestate a prestanome o persone inesistenti, che sarebbero state in grado di offrire prodotti illeciti (in primis fatture per operazione inesistenti) a favore di imprenditori compiacenti.

Un business, quest’ultimo, che ha visto il coinvolgimento anche di soggetti contigui alla ‘ndrangheta vibonese e che avrebbe assicurato alla cosca guadagni importanti ottenuti con truffe sofisticate ai danni di istituti di credito e complesse operazioni di riciclaggio del denaro illecito.

Contestualmente all’esecuzione delle misure cautelari personali, si è proceduto, pertanto, al sequestro di numerose società in Umbria, Lazio e Lombardia attraverso le quali l’organizzazione criminale si ritiene realizzasse i reati economici e finanziari.

“U QUAGGHIA” E I RAPPORTI CON LE ALTRE FAMIGLIE

Nel contempo, con l’operazione denominata “Core Business”, la Procura distrettuale di Reggio Calabria (con il coordinamento dell’Aggiunto Giuseppe Lombardo, dei Sostituti Simona Ferraiuolo e Giovanni Calamita, e di Antonio De Bernardo, applicato al procedimento dalla Direzione Nazionale Antimafia), nell’ambito di indagini condotte dalle Mobili di Reggio Calabria e Perugia, ha fatto finire in carcere altre quattro persone, accusate di associazione mafiosa in quanto considerate esponenti di vertice ed appartenenti alla cosca dei Commisso di Siderno, nel reggino.

Contestualmente sono stati effettuati a loro carico dei sequestri preventivi, su ordine del Gip del Tribunale della città dello Stretto.

Tra i quattro arrestati c’è anche quello che è definito dagli inquirenti come lo storico leader del clan, Cosimo Commisso, detto u quagghia”, tra l’altro uscito dal carcere lo scorso mese di gennaio.

In particolare, le due indagini di oggi - che rappresentano la naturale prosecuzione dell’operazione “Acero-Siderno Connection(QUI) - avrebbero portato ad accertare l’attività dei Commisso a partite dal 2015, quando Cosimo, dopo un lungo periodo di detenzione, si stabilì a Perugia, in località Casa del Diavolo, per scontare i domiciliari.

Cosa che gli avrebbe permesso di riallacciare i contatti con altri esponenti di spicco della cosca, tra cui Antonio Rodà, ritenuto il referente imprenditoriale in Umbria della famiglia Crupi.

Proprio con Rosà, “U quagghia” avrebbe affrontato la problematica relativa alla salvaguardia dei beni dei Crupi da probabili provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria.

Tramite lo stesso uomo, poi, si ritiene che il presunto boss inviasse messaggi ad altri sodali di Siderno, ma individuasse anche dei terreni nella zona di Perugia da destinare a vigneti per produrre vino da commercializzare poi in Canada tramite soggetti contigui ai Commisso.

Ma Cosimo avrebbe mantenuto anche contatti, sempre in Umbria, con esponenti di altre organizzazionindranghetistiche di Crotone (nella fattispecie con quelli della locale di San Leonardo di Cutro coinvolti nell’indagine catanzarese), con cui avrebbe condiviso “dinamiche e questioni” dell’associazione o progettato iniziative imprenditoriali comuni.

Tra i destinatari del provvedimento del Gip reggino Giovanna Sergi, figura con un ruolo definito di spicco anche il figlio di Cosimo, Francesco Commisso (36 anni), già coinvolto nell’operazione “Crimine” (QUI), quando gli inquirenti lo individuarono come il “Capo giovani”.

IL “BUSINESSMAN DI RIFERIMENTO DELL’ORGANIZZAZIONE”

L’operazione “Core Business”, dunque, farebbe luce sugli interessi economici della cosca sidernese e sui rapporti con professionisti e manager, come un altro indagato, Giuseppe Minnici, ritenuto il “businessman di riferimento dell’organizzazione”, soprattutto in Umbria.

Antonio Rodà e Minnici, insieme ai fratelli Crupi e a Loriana Rodà, sono anche indagati per aver compiuto delle azioni “simulate” - finalizzate ad agevolare l’associazione mafiosa - con il sistema delle cosiddette scatole cinesi”, messo a punto per schermare il patrimonio economico e nascondere le reali proprietà, contribuendo ad occultare la riconducibilità piena ed effettiva in capo ai fratelli Crupi di una società, la “Anghiari Residence”, in provincia di Arezzo, e oggetto del sequestro preventivo.

L’azienda, già cautelata dal Tribunale di Latina, viene considerata “nella reale disponibilità” dei Crupi e della cosca dei Commisso, ed addirittura definita dagli inquirenti come “strumentale alla realizzazione del programma criminoso della consorteria”.

Prova di questa tesi, secondo il Gip, sarebbe il fatto che sulla società intervenne anche Cosimo Commisso il quale, temendone il sequestro, si sarebbe prodigato per salvaguardare l’integrità delle possidenze economiche del gruppo di cui l’azienda avrebbe evidentemente fatto parte.