Maxi evasione fiscale nel Veneziano, coinvolti due “consulenti” reggini

Reggio Calabria Cronaca

Sequestro da 37 milioni di euro, 86 denunce, quattro arresti e 65 società coinvolte. La Guardia di finanza di Venezia e i carabinieri di Roma hanno infatti eseguito delle ordinanze nell’ambito di un’indagine su una maxi frode all’Iva nel settore dei carburanti.

Nell’inchiesta – come dicevamo - sono rimaste coinvolte decine di aziende e di persone accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere, omessa ed infedele presentazione delle dichiarazioni fiscali, emissione o annotazione di fatture false, indebita compensazione di crediti Iva o correlati ad investimenti fittizi in aree svantaggiate, riciclaggio ed autoriciclaggio.

I sigilli, finalizzati alla confisca, riguardano quote societarie, disponibilità finanziarie e 48 immobili nelle province di Milano, Novara, Parma e Reggio Calabria, che per gli inquirenti sarebbero ottenuto con dei profitti illeciti corrispondenti all’Iva non versata sulla cessione di 270 milioni di litri di carburante.

I finanzieri, nel 2016, hanno individuato numerosi distributori stradali nel veneziano e in altre parti d’Italia, che applicavano un prezzo “alla pompa” sensibilmente inferiore alla media di mercato e possibile per effetto dell’evasione dell’Imposta.

Gli inquirenti hanno quindi individuato le 65 società ritenute coinvolte nella frode, che nel triennio 2016-2018 sarebbero state usate per emettere fatture false per 235 milioni di euro e per utilizzare in compensazione falsi crediti d’imposta per altri 26 milioni.

Passate al setaccio, così, oltre 300 posizioni bancarie, sotto il coordinamento dei pm di Roma Stefano Pesci e Pietro Pollidori. Secondo gli investigatori l’organizzazione avrebbe avuto come base uno studio professionale nella capitale, che faceva capo a due intermediari calabresi, fratello e sorella, e a due “esperti” di prodotti petroliferi di Milano.

I quattro presunti responsabili della frode avrebbero gestito un traffico di carburante per un valore complessivo stimato in oltre 300 milioni di euro, omettendo di versare l’Iva per 31 milioni, grazie a numerose società risultate essere mere “cartiere”, tutte gestite dall’organizzazione.

LO SCHEMA FRAUDOLENTO

I due “esperti”, invece, avrebbero gestito un’altra società che si sarebbe approvvigionata di altri 24 milioni di litri di carburante da un altro deposito veneziano, per poi immetterlo in consumo senza versare l’Iva per 6 milioni di euro.

Una società con sede in provincia di Milano avrebbe avuto l’incarico, poi, di acquistare da fornitori comunitari il prodotto petrolifero, che giungeva via mare nel porto di Venezia, dove veniva stoccato in un deposito costiero.

Il prodotto veniva poi ceduto a un’altra impresa senza applicare l’Iva per effetto della presentazione di false dichiarazioni. L'azienda lo avrebbe così rivenduto sottocosto e con Iva esposta a un’ulteriore azienda della filiera illecita, che a propria volta lo retrocedeva alla prima acquirente.

Tutti i trasferimenti – però – sarebbero stati fittizi, in quanto il prodotto non sarebbe mai uscito dal deposito costiero, da dove sarebbe stato estratto solo per essere venduto a distributori stradali di carburante del nord-est.

Lo schema fraudolento - ricostruito dalla Gdf - è stato nel tempo più volte modificato. In un primo caso, è stata utilizzata un’altra società con sede a Roma, che avrebbe ceduto il carburante estratto dal deposito veneziano per rivenderlo direttamente a clienti finali, applicando l’Iva che veniva però indebitamente compensata con falsi crediti d’imposta, ceduti da altre società gestite presso lo studio professionale capitolino.

In un secondo caso, la frode avrebbe ruotato attorno a una società incaricata di acquistare da un’impresa inglese senza applicazione dell’Iva il prodotto che sarebbe stato ceduto a clienti finali con l’imposta, che però non sarebbe stata versata all’erario per effetto dell’utilizzo di fatture false.