Certificati falsi per liberare l’ex boss Mantella: 13 imputati davanti al Gup

Vibo Valentia Cronaca
Andrea Mantella

Sono comparsi stamani davanti al Gup distrettuale Teresa Guerrieri ben 13 degli imputati - tra cui medici, periti e avvocati - che avrebbero operato con falsi certificati medici e false perizie psichiatriche per fare uscire di galera Andrea Mantella, oggi collaboratore di giustizia ma all’epoca dei fatti boss emergenza del clan vibonese “Pardea Ranisi” (QUI). Nelle scorse settimane, la Dda di Catanzaro aveva chiesto per tutti rinvio a giudizio (QUI).

Le accuse sono - a vario titolo - di corruzione, favoreggiamento personale in concorso, frode processuale, falsa perizia, falsa attestazione a pubblico ufficiale.

Per questi reati - aggravati dalle modalità mafiose - hanno scelto di essere eventualmente processati con il rito abbreviato in quattro e i restanti nove con quello ordinario.

In particolare, rito abbreviato per Mauro Notarangelo, 51 anni di Catanzaro, psichiatra e consulente di parte; Massimo Rizzo, 56 anni, di Catanzaro; Antonella Scalise, 62 anni di Crotone; Santina La Grotteria, 46 anni, di Vibo Valentia, compagna di Mantella.

Rito ordinario invece per Andrea Mantella, 46 anni, di Vibo Valentia, collaboratore di giustizia; Francesco Lo Bianco, 48 anni, di Vibo; l’avvocato Salvatore Staiano, 63 anni, di Soverato, legale del Foro di Catanzaro; l’avvocato Giuseppe Di Renzo, 46 anni, del Foro di Vibo Valentia; Silvana Albani, 69 anni, di Camerino; Luigi Arturo Ambrosio, 82 anni di Castrolibero; Domenico Buccomino, 66 anni, di Cosenza; Massimiliano Cardamone, 43 anni di Catanzaro; Antonio Falbo, 56 anni di Lamezia Terme.

Non luogo a procedere infine per Sergio Lupis, 71 anni, di Siderno, consulente tecnico della difesa di Mantella, deceduto nei mesi scorsi.

LE INDAGINI

Dalle investigazioni, condotte dalla Dda di Catanzaro e coordinate dai pm Antonio De Bernardo, Andrea Mancuso ed Annamaria Frustaci, con la supervisione del procuratore Nicola Gratteri, sarebbe stato accertato un vero e proprio meccanismo facente parte di un più ampio sistema illecito che vedrebbe coinvolti medici e avvocati che, attraverso le proprie condotte, si sarebbero adoperati – in molti casi riuscendoci – per far ottenere dei benefici carcerari ai propri assistiti, esponenti di spicco della ‘ndrangheta, trasgredendo così alle leggi dello Stato e venendo meno alle regole deontologiche che contraddistinguono le rispettive professioni.

Ed è proprio grazie alla collaborazione dell’elemento di vertice dell’articolazione di ‘ndrangheta che i Carabinieri sono riusciti a ricostruire la rete di professionisti che – sempre secondo l’accusa – si sarebbe fatta beffa della giustizia.

Nei guai è finita anche una clinica sanitaria convenzionata per ospitare detenuti gravemente malati ma ritenuti “in realtà sanissimi”, e che contrariamente ai doveri d’ufficio imposti dal ruolo pubblico avrebbe ospitato anche veri e propri summit degli ‘ndranghetisti, diventando praticamente una base operativa dove veniva deciso lo sviluppo della Locale.

Secondo le ipotesi dell’accusa i legali Staiano e Di Renzo, in qualità di co-difensori di Mantella e nel ruolo di istigatori; Notarangelo, Cardamone, Rizzo e Scalise come consulenti tecnici della difesa; Mantella come beneficiario della condotta, in diversi scritti destinati all’autorità giudiziaria “e con più azioni poste in essere in momenti diversi”, avrebbero attestato falsamente che lo stesso sarebbe stato affetto da patologie psichiatriche tali da renderlo incompatibile con il sistema carcerario, indicando come necessaria la sua allocazione in una clinica esterna al circuito penitenziario.