Schiaffo ai beni dei clan, sigilli per 14 milioni: “colpito” anche ex Consigliere regionale

Catanzaro Cronaca

Trentaquattro fabbricati, nove imprese, sedici appartamenti, due ville lussuose, quaranta terreni e ventidue veicoli. Il tutto per un valore stimato in oltre 14 milioni di euro.

Questo quanto sequestrato stamani, con sei diversi provvedimenti emessi dalla Dda, a sedici soggetti ritenuti come esponenti di spicco organici o contigui” alle cosche di ‘ndrangheta dei “Cerra-Torcasio-Gualtieri” e dei “Giampà” di Lamezia Terme, dei “Gallace-Gallelli” di Guardavalle, degli “Anello” di Filadelfia (nel vibonese) e nei confronti di un altro soggetto di Amantea (nel cosentino) condannato per scambio elettorale politico-mafioso (LEGGI).

LA MISURA A CARICO DI LA RUPA

Si tratta in questo caso di Franco La Rupa, da anni protagonista della politica locale e che ha raggiunto l’apice della sua carriera nel 2005, quando fu eletto consigliere regionale nella lista dell’Udeur (cessando dalla carica nel 2010, al termine della legislatura.)

Prima ancora di ricoprire incarichi politici a livello regionale, già nel 1992, era stato eletto Consigliere Comunale di Amantea, rivestendo poi nell’arco di quindici anni e più volte la carica di assessore (ai lavori pubblici, personale, bilancio, turismo, sanità, commercio e pubblica istruzione) e successivamente di vicesindaco, fino a diventare primo cittadino, eletto per tre volte consecutive.

Nel 1995, inoltre, era stato anche consigliere provinciale nelle file del Ccd.

Proprio a causa delle modalità della sua elezione a consigliere regionale era stato coinvolto nelle operazioni “Nepetia” e “Omnia”, quando gli venne contestato lo scambio elettorale politico-mafioso.

Nel contesta di quest’ultima inchiesta fu condannato in via definitiva a tre anni di reclusione proprio per voto di scambio con degli appartenenti alla cosca Forastefano di Cassano allo Ionio; mentre per la “Nepetia” fu invece assolto perché il fatto non era previsto dalla legge come reato, ovvero difettava la prova che i voti fossero stati procacciati “con l’utilizzo dei metodi tipici dell’operare mafioso”.

Tuttavia, la stessa sentenza di assoluzione avrebbe dato atto dell’esistenza di presunti rapporti diretti tra La Rupa e la cosca Gentile di Amantea.

Le indagini patrimoniali condotte dalle fiamme gialle avrebbero consentito di ricostruire a suo carico un notevole complesso patrimoniale il cui valore è stato ritenuto sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati.

Tra questi il 50% della struttura immobiliare adibita in precedenza alla casa di cura “Papa Giovanni XXIII” di Serra d’Aiello (nel cosentino).

I sigilli sono stati apposti anche ad una villa lussuosa ad Amantea; un bar sempre ad Amantea, nei pressi del polo scolastico; una grossa azienda agricola a Cleto; undici fabbricati ad Amantea e due a Cleto; trentadue terreni agricoli nel comprensorio di Cleto; tre autoveicoli, di cui uno di lusso; due polizze assicurative e diversi rapporti bancari e finanziari. Il tutto per un valore complessivo stimato in oltre 9 milioni di euro.

LA MISURA A CARICO DI TROVATO

Un altro provvedimento ha poi colpito Luigi Trovato, ritenuto come contiguo alla cosca lametina dei Giampà e nel luglio del 2013 indagato nell’operazione “Perseo”.

Allora gli si contestò l’associazione mafiosa, le violazioni in materia di armi e il concorso in omicidio: secondo gli inquirenti avrebbe contribuito a fornire appoggio logistico per la realizzazione di un’azione criminosa.

Trovato fu poi arrestato nell’ambito operazione Perseo per detenzione e porto d’armi, con l’aggravante mafiosa. Al termine procedimento che ne scaturì, in un primo momento fu assolto per non aver commesso il fatto. Poi, a seguito del ricorso della Procura, fu invece condannato a quattro anni di reclusione per illecita detenzione di armi, aggravata dall’aver favorito la criminalità organizzata.

La sentenza fu annullata dalla Corte di Cassazione, con rinvio alla Corte di Appello per una nuova valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia; attualmente è sub judice per questo reato.

Trovato, insieme ai fratelli ed al coniuge, fu anche indagato per interposizione fittizia di beni, dovuta alla costituzione di una società, sequestrata nel maggio scorso, la cui attività sarebbe stata di fatto riconducibile a lui e agli altri suoi fratelli.

Su di lui, i finanzieri hanno ricostruito un notevole complesso patrimoniale. il cui valore sarebbe anche in questo caso sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati.

Il sequestro a suo carico ha riguardato complessivamente diciassette fabbricati a Lamezia; altri tre fabbricati a Pianopoli; quattro terreni a Lamezia; un terreno a Pianopoli; un bar nella zona centrale di Lamezia; tre società sempre a Lamezia e operanti nel settore delle auto; diversi rapporti bancari e finanziari. Il tutto quantificato in un milione e mezzo di euro.

LA MISURA A CARICO DI ORIGLIA E MALLAMACE

Un’altra misura ha colpito poi Domenico Origlia, di Guardavalle e Francesco Mallamace, di Vibo Valentia.

Il primo fu coinvolto nella nota operazione “Itaca-Freeboat”, che nel luglio del 2013 portò all’arresto di 25 soggetti, ritenuti affiliati o fiancheggiatori della cosca Gallace/Gallelli attiva a Guardavalle, Badolato e su tutta la fascia del basso ionio catanzarese.

Origlia fu coinvolto anche nell’operazione “Mythos” e al termine del relativo procedimento penale condannato dal tribunale Velletri (Roma) a dodici anni e nove mesi di reclusione, essendo stato ritenuto colpevole, tra l’altro, di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Mallamace, invece, nel giugno del 2008 fu arrestato nelle “Domino” ed “Effetto Domino” che avevano riguardato la cosca “Anello” di Filadelfia (nel vibonese).

Per i fatti che lo avevano visto coinvolto, nell’ottobre 2012 fu condannato dalla Corte di Appello di Catanzaro a quattro anni e dieci mesi per estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Le indagini condotte dal Gico hanno anche in questo caso ricostruito in capo ai due un notevole complesso patrimoniale.

Sono così scattati i sequestri di un fabbricato a Guardavalle; una ditta del settore dei legnami a Sant’Onofrio (vv) e con l’unità locale in Val di Chiana (nell aretino); cinque automezzi e diversi rapporti bancari e finanziari. Il tutto per un valore complessivo stimato superiore al milione di euro.

COLPITI I BENI DEI “CAPI STORICI E CARISMATICI”

Sempre nell’ambito dell’indagine sono stati eseguiti due provvedimenti di prevenzione riguardanti complessivamente 13 tra presunti capi ed esponenti di spicco della cosca “Cerra-Torcasio-Gualtieri” di Lamezia Terme e, specificatamente, nei confronti dei capi storici e carismatici Nino e Teresina Cerra, condannati in via definitiva per associazione mafiosa nella cosiddetta operazione Chimera; oltre che dei loro figli e nipoti, gran parte dei quali condannati anche loro in via definitiva nella stessa operazione e coinvolti in un’altra e successiva, la ‘Crisalide’.

Accertamenti patrimoniali e reddituali avrebbero così dimostrato una netta sproporzione tra beni, redditi leciti e tenore di vita mantenuto dagli indiziati, ricostruito addirittura fin dal 1979.

I sigilli sono scattati ad un patrimonio di oltre due milioni e mezzo di euro, e costituito da 15 appartamenti e una villa lussuosa con piscina, a Lamezia Terme; un appartamento nella provincia di Firenze; tra terreni agricoli, di cui due coltivati a vigneto; un intero compendio aziendale di un’attività commerciale di abbigliamento, nella provincia di Firenze; un altro compendio aziendale di un’attività commerciale di prodotti latteari, a Lamezia; un’altra attività, sempre a Lamezia, che opera nel settore del movimento terra; quote di una società di “call center”; quattordici autoveicoli (10 auto e 4 moto) ed un acquascooter.

Le attività di oggi, coordinate e dirette dalla Procura di Catanzaro, sono state finalizzate all’individuazione ed all’apprensione dei patrimoni illeciti che si ritiene siano stati conseguiti con i proventi di svariate attività criminali compiute nel tempo.

I provvedimenti sono stati eseguiti dai finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro, coordinati dal Procuratore della Repubblica, Nicola Gratteri, dagli aggiunti Vincenzo luberto e Vincenzo Capomolla, e dai sostituti Camillo Falvo, Elio Romano e Pasquale Mandolfino.