Dalle estorsioni tra i clan all’omicidio Gioffré: ammazzato per stoppare le ritorsioni

Reggio Calabria Cronaca
Da sinistra: Domenico Fioramonte, Giuseppe Domenico Laganà Comandè e Saverio Rocco Santaiti

Una reazione sanguinaria a delle ripetute richieste estorsive. Un fatto di sangue che sarebbe dovuto essere eclatante così da mettere fine a delle ritorsioni subite.

Starebbe tutto in questo il movente che il 21 luglio scorso armò la mano dei killer che fecero fuoco ammazzando “Siberia”, al secolo Fabio Giuseppe Gioffrè, considerato come esponente di vertice dell’omonima cosca di Seminara, inquadrata nel mandamento tirrenico della ‘ndrangheta reggina.

Stamani la svolta nelle indagini sul cruento fatto di sangue, con l’arresto (in carcere) di tre persone accusate a vario titolo di esserne i responsabili ed a cui si contestano l’omicidio in concorso, l’estorsione, la detenzione e porto illegale di armi, il tutto con l’aggravante di aver commesso i fatti con modalità mafiose e per agevolare la cosca di appartenenza (LEGGI).

Le manette sono scattate per Domenico Fioramonte, 41enne di Taurianova; Giuseppe Domenico Laganà Comandè, 20enne di Polistena e Saverio Rocco Santaiti, 58enne di Seminara.

GLI SVILUPPI DELL’OPERAZIONE “ARES”

Il provvedimento scaturisce dalle indagini collegate al più ampio contesto investigativo delineato dall’operazione “Ares”, del 9 luglio scorso (LEGGI), e che avrebbe messo in risalto la preponderante influenza delle formazionindranghetiste di Rosarno nella Piana e nei comuni pre-aspromontani

Le investigazioni sono state avviate subito dopo la morte di Gioffrè, dai Carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro sotto il coordinamento dell’Aggiunto Gaetano Calogero Paci e dal Sostituto Adriana Sciglio.

Il fatto risale al 21 luglio quando la vittima fu uccisa a colpi d’arma da fuoco, da due soggetti travisati, in contrada Monte di Seminara, in un terreno di proprietà in cui svolgeva l’attività di allevatore (LEGGI).

Nell’agguato rimase ferito anche un bambino bulgaro, colpito al torace ed al braccio sinistro, mentre il capannone presente nel fondo agricolo fu parzialmente danneggiato da un incendio, probabilmente appiccato dagli stessi assassini.

Partirono subito le indagini, basate essenzialmente su acquisizioni tecniche ma anche complicate dal contesto sociale e familiare della vittima, particolarmente “omertoso e ostile”, affermano gli inquirenti.

Così si sarebbe ricostruita la dinamica dell’agguato arrivando ad accertare le presunte responsabilità: ovvero che l’esecutore materiale dell’omicidio, in concorso con un’altra persona ancora non identificata, sarebbe stato Domenico Fioramonte, titolare di un frantoio a Seminara e considerato contiguo ai “Grasso” di Rosarno.

La tesi è che l’assassinio di Gioffrè vada inquadrato nell’ambito delle estorsioni attuate dai gruppi “Laganà” e “Santaiti” (entrambi attivi sul territorio di Seminara) e, a tratti, contrapposti alla cosca “Gioffrè”, di cui Fabio Giuseppe ne sarebbe esponente di rilievo.

LE “PRESSANTI” RICHIESTE E LA DOMANDA DI PROTEZIONE

Durante le indagini dell’operazione “Ares”, infatti, vennero intercettate una serie di conversazioni ambientali dalle quali sarebbe emerso come nel maggio scorso i Fioramonte, legati da vincoli di parentela con i “Grasso”, si sarebbero rivolti a Rosario Grasso per cercare protezione dalle continue e pressanti pretese dei “Laganà” e dei “Santaiti”, che stavano “strozzando” l’attività imprenditoriale di famiglia.

Si tratta - sempre secondo gli investigatori - di due estorsioni documentate ai danni dell’impresa dei Fioramonte, ripetutesi in un ampio arco temporale e oggi a fondamento del provvedimento a carico di Giuseppe Domenico Laganà Comandè e Saverio Rocco Santaiti.

In questo contesto assumerebbe sin da subito un rilievo la figura della vittima, Fabio Giuseppe Gioffrè, che si sarebbe attivato da solo per portare davanti ai “Grasso” (la cui cosca non operava a Seminara ma si adoperava per i Fioramonte, considerati vicini alla famiglia) coloro che avevano commesso le estorsioni nei confronti dei Fioramonte, ossia Laganà Comandé e Rocco Santaiti.

L’intervento dei “Grasso”, spiegano gli inquirenti, si sarebbe rilevato duplice, poiché sarebbe consistito sia nel chiedere a Laganà Comandé di non vessare più i Fioramonte, ma anche nello spronare quest’ultimi a reagire duramente nei confronti di altre richieste estorsive, potendo contare proprio sull’autorevole appoggio dei “Grasso”.

Nei confronti dei “Santaiti”, che si sarebbero rifiutati di ridiscutere i termini dell’estorsione, poiché ritenuti frutto di vecchi accordi ormai consolidati, i “Grasso” avrebbero valutato di interessare un altro gruppo criminale di spessore”, i “Bellocco”, così da convincere i “Santaiti” a desistere dalle loro pretese.

LA VITTIMA “MEDIATRICE” TRA FIDUCIA E “FASTIDI”

Si tratterebbe, evidentemente, di un ambito particolarmente insidioso, in cui Gioffrè avrebbe dimostrato una certa disinvoltura e una evidente credibilità, come risulterebbe dai colloqui con il capocosca Rosario Grasso e dall’iniziativa di portare davanti a quest’ultimo Laganà e Santaiti.

Un ruolo il suo, però, molto delicato e rischioso poiché, in equilibrio labile fra rapporti definiti “obliqui e opachi”, e che da subito avrebbero fatto intravedere un suo personale interesse nella vicenda.

Per gli investigatori sarebbe così risultato fisiologico, dunque, che nella famiglia Fioramonte alcuni riponessero fiducia nella capacità di mediazione della vittima dell’omicidio, mentre altri sarebbero strati infastiditi dall’intromissione di quest’ultimo.

Conferme in tal senso sarebbero arrivate anche da altre acquisizioni, successive all’omicidio, come l’improvvisa interruzione dei rapporti telefonici tra Domenico Fioramonte e Gioffré, che si erano sentiti fino all’11 luglio precedente; e una lite fra i due avvenuta al frantoio dei Fioramonte proprio la mattina dell’assassinio.

IL MOVENTE DELL’ASSASSINIO

La ricostruzione complessiva del contesto in cui sarebbe maturato evidenzierebbe come l’omicidio di Gioffrè fosse stato una reazione sanguinaria della famiglia Fioramonte alle ripetute richieste estorsive ricevute dai mafiosi di Seminara, in particolare da Domenico Fioramonte.

Ammazzare l’allevatore avrebbe avuto dunque lo scopo di mettere fine - con un’azione eclatante e tale da dimostrare di possedere una uguale capacità criminale - alle ritorsioni subite dalla sua famiglia dalla ‘ndrangheta seminarota.

In fase esecutiva, infine, i militari di Gioia Tauro arrestato, al termine di una perquisizione domiciliare, anche Salvatore Fioramonte, 33 anni, che è stato trovato con un revolver calibro 38 dalla matricola abrasa e già carico, che era nascosto in un armadio del garage della sua abitazione di San Ferdinando.

L’operazione di oggi è stata eseguita dai Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria. Le misure restrittive sono state emesse dal Gip del Tribunale del capoluogo, Filippo Aragona, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri.