Quell’abbraccio “affaristico” con la cosca, maxi sequestro a noto gruppo della Piana

Reggio Calabria Cronaca

Un ingente patrimonio, riconducibile ad un importante gruppo imprenditoriale della Piana di Gioia Tauro che opera nel settore degli appalti pubblici, è stato sottoposto stamani a sequestro.

Ad eseguire il provvedimento - nell'ambito dell'operazione denominata Building - sono state le fiamme gialle del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria e dello Scico, il Servizio Centrale Investigazioni Criminalità Organizzata, su ordine della Procura Distrettuale Antimafia del capoluogo calabrese.

La tesi degli inquirenti è che, nel corso degli anni, si sia accumulata una fortuna imprenditoriale grazie “all'abbraccio affaristico” e “di interesse” con la maggiore cosca di 'ndrangheta del mandamento tirrenico, quella dei Piromalli.

A finire sotto la lente degli inquirenti il patrimonio, stimato in circa 115 milioni di euro, del Gruppo “Bagalà”, in particolare imprese commerciali, beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie, riconducibile a Giuseppe, Francesco, Luigi e Francesco Bagalà, rispettivamente di 61, 28, 72 e 41 anni.

L’OPERAZIONE “CERALACCA”

La tesi è che le loro presunte figure criminali siano già emerse nell’ambito di alcune operazioni coordinate dalla Dda.

In particolare, la “Ceralacca”, conclusasi con l’esecuzione - tra il 2012 e il 2014 - di 25 provvedimenti restrittivi nei confronti di soggetti ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata alla turbata libertà degli incanti, corruzione e rivelazione di segreti d'ufficio (LEGGI).

Tra questi figuravano proprio Giuseppe (61) e Francesco (28) Bagalà e allora furono cautelate 15 imprese, beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie per un valore di circa 48 milioni di euro.

Al riguardo, nell’ambito di queste indagini si ritenne che il gruppo, guidato dai fratelli Giuseppe e Carmelo Bagalà (59 anni), e che avrebbe visto i rispettivi figli come “primi punti di riferimento”, avesse alterato numerose gare indette sia dalla Suap di Reggio Calabria che dalla Sorical di Catanzaro, con la complicità “sistematica” di dipendenti infedeli delle due stazioni appaltanti, con la modalità di alterazione delle gare, che mutavano a seconda della stazione coinvolta.

L’OPERAZIONE CUMBERTAZIONE

Un’altra inchiesta che riguarda la famiglia gioiese, è quella denominata “Cumbertazione”. Conclusa nel 2017 portò all’arresto di 27 persone a vario titolo accusate di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione per delinquere aggravata, turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture, corruzione e falso ideologico in atti pubblici (LEGGI).

In questo contesto finirono anche i quattro familiari oggi colpiti dal sequestro, mentre venivano sequestrare 44 aziende, per un valore complessivo di 224 milioni di euro.

L’operazione avrebbe svelato le presunte cointeressenze di gruppi imprenditoriali di Gioia Tauro (in particolare, collegati alla famiglia Bagalà) con la cosca di ‘ndrangheta dei Piromalli, operativa su quel territorio: clan che, secondo il costrutto accusatorio, attraverso gli imprenditori “ad essa direttamente o indirettamente riconducibili”, avrebbe acquisito il controllo del settore degli appalti indetti dal Comune di Gioia Tauro e da quelli limitrofi, oltre che da altri enti, come l’Anas (LEGGI).

Nell’indagine furono riscontrati dei “sofisticati sistemi di turbativa d’asta”, tra cui, un cartello composto da oltre 60 società che, attraverso la presentazione di offerte concordate precedentemente, sarebbe stato in grado di turbare, nel periodo 2012-2015, almeno 27 gare indette da diverse stazioni appaltanti e per un valore superiore ai 90 milioni di euro.

Per gli inquirenti le vicende sarebbe state dunque da inserire in una “cornice ‘ndranghetistica”, soprattutto - spiegano - “in virtù dell’opera del gruppo imprenditoriale dei Bagalà” che si sarebbe mosso grazie ad una vicinanza ai Piromalli.

L’OPERAZIONE MARTINGALA

Un’altra operazione sui Bagalà e quella denominata “Martingala” condotta nei confronti di un articolato sodalizio criminale che sarebbe stato dedito alla commissione di gravi reati come quello di associazione mafiosa, riciclaggio e autoriciclaggio, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, con l'aggravante - per alcuni dei coinvolti - del metodo mafioso (LEGGI).

Tra questi Giuseppe (61 anni) e Francesco (28) Bagalà. L’operazione si concluse nei primi mesi del 2018 con 27 provvedimenti restrittivi personali e il sequestro di 51 società, anche estere; partecipazioni sociali, beni mobili e immobili, disponibilità finanziarie: il tutto per circa 119 milioni di euro.

In questo contesto sarebbero emersi rapporti tra i due Barbaro e Antonio Scimone (45 anni), Antonio Barbaro (70) e Bruno Nirta (70), quest’ultimi due indicati rispettivamente come intranei alle cosche “Barbaro” detti “I Nigri” di Platì e “Nirta” detti “Scalzone” di San Luca.

La tesi è che si fossero associati per commettere una serie di reati connessi e conseguenti alla gestione di flussi economici, costituendo attraverso Scimone delle società all'estero per riciclare ingenti somme di denaro provenienti da “fondi neri” creati attraverso le loro attività illecite e giustificati da apparenti rapporti commerciali.

IL PROSIEGUO DELLE INDAGINI

Alla luce di queste risultanze, la Dda reggina, sempre più interessata agli aspetti economico-imprenditoriale legati alla criminalità organizzata, ha delegato alla Guardia di Finanza delle indagini di carattere economico-patrimoniale.

Attraverso una complessa e articolata attività di accertamento e di riscontro documentale, si sarebbero così ricostruite tutte le transazioni economiche effettuate dai Bagalà negli ultimi 40 anni, individuando i patrimoni dei quali risultavano disporre, sia direttamente che indirettamente, il cui valore sarebbe risultato decisamente sproporzionato” rispetto alla capacità reddituale dichiarata, e le fonti ritenute “illecite” dalle quali avrebbero tratto le risorse per la loro acquisizione.

LA PERICOLOSITÀ SOCIALE

La fiamme Gialle, con riferimento al percorso esistenziale degli indagati, avrebbero individuate delle presunte condotte delittuose, le frequentazioni, i legami parentali, i precedenti giudiziari e gli altri elementi ritenuti fondamentali per la formulazione, ai sensi della normativa antimafia, del giudizio sulla loro pericolosità sociale”.

Così, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria - diretta dal Presidente Ornella Pastore - su richiesta della DDA, ha disposto il sequestro dell’ingente patrimonio a riconducibile ai Bagalà e ai rispettivi nuclei familiari, e costituito dall’intero compendio aziendale.

Il Tribunale, in particolare, ha ritenuto che “a fronte di rapporti consolidati nel tempo ed intrapresi dai soggetti storici della famiglia Bagalà, Giuseppe e Luigi, con i vertici del clan Piromalli, su cui hanno in modo convergente riferito tutti i collaboratori, l’attività imprenditoriale del proposto e prima di lui del padre Luigi, forte di tale indissolubile legame sedimentato nel tempo è risultata certamente funzionale alle finalità associative di monopolio economico del territorio nel settore delle pubbliche commesse, assumendo il rapporto con la cosca un carattere biunivoco stabile, continuativo e fortemente personalizzato”.

I SEQUESTRI

Con il provvedimento di oggi - eseguito su richiesta del Procuratore Aggiunto Calogero Gaetano Paci e del Sostituto Gianluca Gelso - è stato così disposto il sequestro di cinque imprese commerciali nel settore della realizzazione di grandi opere edili e infrastrutture; quote societarie di sei imprese; 161 immobili (tra fabbricati e terreni); sette autovetture e beni di lusso (quattro orologi); rapporti finanziari e assicurativi, e disponibilità finanziarie.

(Aggionata alle 09:00)