‘Ndrangheta: smantellata la cosca Bruni di Cosenza. IL VIDEO

Cosenza Cronaca

Ennesima operazione antimafia in Calabria ad opera dei carabinieri del Comando provinciale e della Squadra mobile di Cosenza per l'esecuzione di 47 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettanti presunti affiliati alla cosca Bruni della 'ndrangheta. I provvedimenti restrittivi sono stati emessi dal gip distrettuale di Catanzaro su richiesta della Dda e uno riguarda, tra gli altri, l'ex parlamentare dell'Udeur Bonaventura La Macchia, 57 anni, che sarebbe stato inserito nel racket delle pompe funebri, grazie ai suoi collegamenti con il titolare di una casa di cura di Cosenza. La Macchia è accusato di tentata estorsione, aggravata dalle modalità mafiose. L'ex parlamentare, in particolare, avrebbe fatto pressioni sul proprietario della casa di cura per fare in modo che il servizio di pompe funebri per le persone che morivano nella clinica fosse affidato ad un impresa che sarebbe stata collegata alla cosca Bruni. La Macchia è stato arrestato dalla Squadra mobile di Cosenza nella sua abitazione di Roma con la collaborazione della Questura della capitale. Il clan Bruni, secondo quanto è emerso dalle indagini, si sarebbe infiltrato in numerose attività imprenditoriali, gestendo, oltre ai servizi di onoranze funebri, anche una discoteca nel centro di Cosenza. Il gruppo criminale avrebbe avuto anche un ruolo attivo nel traffico di stupefacenti, nelle estorsioni e nelle rapine contro i furgoni portavalori eseguite con la complicità di mafiosi pugliesi. C'é anche il presunto capo della cosca, Michele Bruni, tra gli arresti di oggi. Bruni era stato scarcerato appena ieri ed era stato posto agli arresti domiciliari, insieme a lui, sono stati arrestati la compagna polacca, che gestiva gli affari della cosca nel periodo in cui il boss era detenuto, e tre fratelli, due dei quali, già detenuti. Due carabinieri sono stati arrestati nell'ambito dell'operazione. I due militari sono accusati di concorso esterno in associazione mafiosa. Uno dei due carabinieri era in servizio nella Compagnia di Rende, mentre l'altro era stato sospeso. L'operazione ha permesso di fare luce sull'organizzazione criminale che fa capo alla cosca Bruni, chiarendo molti meccanismi criminali in atto non solo nella provincia cosentina. Importanti tasselli sono stati aggiunti dai collaboratori di giustizia su cui hanno operato gli inquirenti. Quattro i punti cardine su cui si è raggiunta una sostanziale unità investigativa grazie alle versioni fornite dai collaboratori: l'esistenza del gruppo criminale con a capo Francesco Bruni detto bella bella e, dopo il suo assassinio, guidata dal figlio Michele; la collaborazione tra la cosca Bruni e altre organizzazioni criminali, a partire dall'alleanza con gli zingari per il controllo del traffico di sostanze stupefacenti e le rapine ai furgoni portavalori anche fuori regione; la volontà del gruppo di controllare tutte le attività illecite di Cosenza e provincia, compresi importanti appalti pubblici; la decisione della altre cosche egemoni sul territorio di annientare il clan Bruni e la cosca Portoraro per fronteggiarne l'ascesa. Si tratta di aspetti rilevanti che hanno permesso di costruire a pieno l'ascesa criminale dell'organizzazione sgominata questa mattina. Quattro, in particolare, i collaboratori su cui hanno potuto contare gli inquirenti: De Napoli, Di Dieco, Bevilacqua e Munno, tutti appartenenti ad organizzazioni della 'ndrangheta che operano nel cosentino. Due Carabinieri in servizio al Comando provinciale dell'Arma di Cosenza con la passione per la discoteca, al punto da essere diventati, secondo l'accusa, soci occulti di un locale notturno che sarebbe stato sotto il controllo della cosca Bruni. E' questo uno dei retroscena dell'inchiesta portata a termine, questa mattina, dai carabinieri di Cosenza e dalla Polizia di Stato. Sono stati gli stessi colleghi dei due militari a svelare come i due, il maresciallo Massimiliano Ercole e l'appuntato Francesco Romano, sarebbero stati materialmente i gestori della discoteca con la loro continua presenza, lasciando sullo sfondo i vertici della cosca Bruni dai quali, però, avrebbero preso gli ordini. Questo, secondo gli inquirenti, avrebbe permesso di appurare una condotta che ha avviato nei loro confronti l'ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa. Dalle indagini e' emerso che la società che ufficialmente gestiva la discoteca di Zumpano aveva come amministratore unico Erika Grillo, con i due militari dell'Arma che avrebbero partecipato attivamente sin dalla fase di apertura del locale. I componenti della cosca Bruni, invece, sarebbero stati pienamente coinvolti nell'attività, partecipando, sempre secondo le indagini, alle spese e ai guadagni, gestendo il servizio d'ordine all'interno della discoteca e il parcheggio delle autovetture. Michele Bruni, considerato il capo del gruppo, e i suoi fratelli sarebbero intervenuti per ottenere condizioni più favorevoli da parte delle persone dello spettacolo che erano ospiti del locale, per determinare le ditte appaltatrici per la costruzione di alcune pertinenze della discoteca, per dirimere controversie con i creditori. I due carabinieri sarebbero stati, secondo le indagini condotte dai colleghi dell'Arma, soci occulti, senza avere quote ufficiali della società, ma operando con i rappresentanti della famiglia Bruni e con Erika Grillo.