Colpito al “cuore” il mandamento jonico: 291 indagati, decimate le “locali” di ‘ndrangheta

Reggio Calabria Cronaca

Una maxi operazione che ha interessato indistintamente tutti i principali centri della Locride, dove sono stati fermati i presunti affiliati alle locali di ‘ndrangheta di Locri, Roghudi, Condofuri, San Lorenzo, Bova, Melito Porto Salvo, Palizzi, San Luca, Bovalino, Africo, Ferruzzano, Bianco, Ardore, Platì, Cirella di Platì, Careri, Natile di Careri, Portigliola, Sant’Ilario, tutte rientranti nel mandamento ionico. Alcuni degli arrestati sarebbero invece affiliati alle locali di Reggio Calabria, alla cosca Ficara-Latella e Serraino e alla locale di Sinopoli del mandamento tirrenico.


Quasi trecento indagati (291, per l’esattezza) a cui vengono contestati ben 140 capi d’imputazione. Questi i numeri, imponenti, della maxi operazione “Mandamento” portata a termine nella notte scorsa dai carabinieri del Ros nell’ambito di un’indagine sviluppata insieme ai colleghi di Locri.

LA STANGATA è stata inferta alla quasi totalità delle organizzazioni criminali comprese, appunto, nel cosiddetto “mandamento” Jonico, composto dalle “Locali” (23 in tutto) più strutturate e maggiormente legate alle tradizionali regole della ‘ndrangheta, tanto da essere considerate il “cuore” dell’organizzazione.

La misura, articolata in più parti, riassume gli elementi investigativi raccolti nell’ambito dell’operazione “Reale” (ora integrata dalle informative denominate “Blu notte” del Ros di Reggio), oltre a quelli emersi in altri procedimenti, tra cui le operazioni “Eirene”, “Edera”, “Intreccio”, “Arcadia”.

Le indagini, come dicevamo, hanno riguardato le cosche che si ritiene operino nei tre “Mandamenti” in cui risulta suddiviso il reggino, ma principalmente quello Jonico.

L’IMPONENTE MOLE DI INTERCETTAZIONI E RISCONTRI

Gli inquirenti hanno eseguito un elevatissimo numero di intercettazioni e servizi di osservazione, resi difficili dalla particolare situazione ambientale di alcuni dei centri aspromontani interessati. Il tutto è stato poi integrato dall’esame di materiale documentale e dai riscontri alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia.

Così si è riusciti a raccogliere un’imponente mole di acquisizioni investigative, alla quale si sono aggiunti i riscontri alcuni taluni filoni già conclusi, come le indagini Meta, Solare, Reale, Crimine, Saggezza, Morsa e Acero.

Tutta questa documentazione avrebbe permesso agli inquirenti di far emergere uno spaccato approfondito e completo delle dinamiche associative delle più importanti articolazioni ‘ndranghetiste, individuando le gerarchie e gli organigrammi di ogni “Locale”, a partire dalla cosca Ficara-Latella, egemone nella zona Sud del capoluogo, per proseguire lungo l’intera fascia Jonica (da cui il nome dell’operazione) sia dei comuni rivieraschi che montani, con un monitoraggio capillare e completo come mai avvenuto in precedenza.

LA “RADIOGRAFIA” DEL METODO MAFIOSO

In pratica gli investigatori hanno definito l’indagine come una vera e propria “radiografia” che ha permesso di documentare le tipiche espressioni del metodo mafioso, identificando i presunti autori di estorsioni, di truffe aggravate per ottenere erogazioni pubbliche, di danneggiamenti oltre che dell’infiltrazione negli appalti pubblici e nei lavori privati che, per numero e estensione, “costituiscono un allarmante indice del capillare e asfissiante controllo del territorio esercitato dalla ‘Ndrangheta, ribadiscono gli inquirenti.

Inoltre si è fatta luce anche sul complesso sistema di regole e rituali della ‘ndrangheta, aggiornando quanto già imparato a conoscere nell’ambito dell’indagine “Crimine”, in particolare l’esistenza della cosiddetta “Provincia”, ovvero il riferimento dei responsabili di tre “mandamenti” in cui sono stati ripartiti i “locali”.

Pop si sono individuate nuove cariche, doti e strutture sovraordinate di cui l’organizzazione si era dotata per migliorare la sua efficienza operativa, in linea con quanto emerso sempre nel corso dell’operazione “Crimine” ma anche Saggezza e nella più recente Mamma Santissima”.

In tale contesto si è scoperta l’esistenza ed il metodo di funzionamento dei “tribunali” di ‘Ndrangheta e le procedure dei giudizi a carico di quegli affiliati sospettati di violazioni, o delle le regole da applicare in caso di una faida.

LE DINAMICHE INTERNE ALLE LOCALI

Oltre a delineare il complessivo scenario nelle linee generali, l’indagine ha poi documentato le distinte dinamiche all’interno dei principali “Locali”, particolarmente indicative del grado di pericolosità e del livello di infiltrazione nel tessuto sociale ed economico dell’organizzazione nelle sue strutture di base.

LA FAMIGLIA DEI PELLE-GAMBAZZA

Gli investigatori si dicono oggi certi di poter così confermare la centralità della famiglia Pelle e, in particolare, di Giuseppe Pelle, detto “Gambazza”, non solo nel “mandamento ionico” ma anche in tutta l’organizzazione a livello “provinciale”.

Un ruolo che emergerebbe sia in relazione a problematiche associative (Giuseppe sarebbe stato consultato ed avrebbe assunto le decisioni finali su diverse questioni riguardanti la concessione di doti e cariche in tutta la “Provincia”, o riguardanti dissidi interni anche a singole locali), sia in relazione a singole attività estorsive o comunque di infiltrazione negli appalti pubblici in cui sarebbe stato direttamente interessato o avrebbe fatto da garante degli equilibri spartitori tra le varie famiglie.

Su questo elemento sarebbero particolarmente rilevanti due elementi: delle intercettazioni che secondo gli investigatori dimostrerebbero una pressione estorsiva definita “sistematica”, ovvero il pagamento del 10% del valore delle opere; e l’infiltrazione negli appalti pubblici tra cui quello relativo ai lavori della linea ferroviaria Sibari-Melito Porto Salvo nella tratta Condofuri-Monasterace per un investimento complessivo di 500 mila euro.

LA “LOCALE” DI LOCRI

Le indagini mirano poi a dimostrare l’operatività delle cosche Cataldo e Cordì, protagoniste di una storica faida iniziata sul finire degli anni ‘60 e che ha insanguinato, in varie fasi, il centro locrese. L’attività svelerebbe come a seguito della chiusura formale del “Locale”, decretata alla fine degli anni ’90 dai vertici della ‘Ndrangheta proprio a causa dell’ennesima recrudescenza della guerra di mafia, i due clan rivali abbiano raggiunto una pacificazione per “riattivare” proprio il “Locale” e così rientrare nel consesso ‘ndranghetista da cui erano state escluse.

In questo contesto sono stati individuati gli organigrammi delle due cosche e di quelle satellite, e si sarebbe documentata l’esecuzione di diverse estorsioni a imprese e esercizi commerciali; l’infiltrazione negli appalti pubblici per la realizzazione del nuovo palazzo di giustizia, dell’ostello della gioventù, del centro di solidarietà Santa Marta e di istituti scolastici, oltre che nella gestione di terreni pubblici e nell’assegnazione degli alloggi popolari.

In merito a quest’ultimo argomento l’indagine avrebbe accertato le azioni dei Cataldo per ottenere il controllo di alcuni alloggi popolari a Locri.

LA LOCALE DI AFRICO

Gli inquirenti hanno documentato le “dialettiche associative” e di influenza nei rapporti di alcuni “Locali”, risultati condizionati sia per la vicinanza territoriale che per i rapporti familistici. In particolare sono emersi il veto posto dal capo del Locale di Africo alla riattivazione del Locale di Motticella, formalmente chiuso dagli organismi di vertice a seguito della faida che ha interessato la cittadina negli anni 80/90, e i cui strascichi non consentono, tuttora, una pacificazione formale.

Inoltre si sarebbe scoperta una contesa all’interno del Locale di Ferruzzano tra due fazioni per la carica di “capo Società” e sfociata con scontri a fuoco.

LE LOCALI DI PLATÌ E NATILE DI CARERI

Quanto a queste due Locali secondo gli investigatori vi sarebbe stata una sintonia criminale tra le sue strutture confinanti, e nelle quali spiccano le cosche Barbaro e Ietto-Cua, protagoniste della “totale infiltrazione mafiosa” nel campo dei lavori pubblici.

In particolare, le indagini accerterebbero la turbativa di numerosi appalti nel settore delle opere infrastrutturali, indetti dai Comuni di Platì e Careri e dalla “Comunità Montana Aspromonte Orientale” di Reggio Calabria. Lavori finiti a ditte ritenute controllate dalle cosche locali, e il tutto secondo delle logiche spartitorie dettate dagli equilibri mafiosi sul territorio i “Barbaro” di Platì, “Ietto-Cua-Pipicella” di Natile e “Pelle” di San Luca.

Inoltre, la tesi è che nel comune di Careri vi fosse un “sistema illecito” di conferimento diretto e sistematico, tramite il metodo delle somme urgenze”, di commesse pubbliche a favore di imprese che sarebbe state controllate dai “Ietto-Cua -Pipicella.

L’INFILTRAZIONE MAFIOSA avrebbe interessato anche i cantieri per la nuova costruzione e l’adeguamento parziale della ex Statale 112 Dir. SGC Bovalino-Platì-Zillastro-Bagnara, appaltati dalla Provincia di Reggio e che furono in gran parte eseguiti da imprese edili ritenute controllate dalle cosche e imposte all’Ati che si era aggiudicata la commessa tramite di sub-contratti per lavori a misura, per il nolo dei macchinari, per la fornitura di calcestruzzo, di materiali edili e da cantiere e imponendo le maestranze.

Un sistema quello dei sub contratti indispensabile per ditte in “odore” di mafia per eludere i controlli preventivi eseguiti dalla Stazione Appaltante e che per le società vincitrici della gara pubblica, sarebbe stato l’unico modo per trovare un “accordo” con il “territorio”, sottoponendosi alla protezione delle cosche e limitando in questo modo possibili danneggiamenti nei cantieri.

UN ALTRO ELEMENTO portato alla luce dalle indagini sarebbe quello relativo al controllo esercitato da Rosario Barbaro, detto “Rosi” e considerato il capo locale di Platì, sugli operai del “Consorzio di bonifica dell’Alto Jonio Reggino”. Secondo gli inquirenti gli operai sarebbero stati sistematicamente impiegati per eseguire lavori edili di manutenzione nelle proprietà dello stesso Barbaro, mentre venivano stipendiati dal Consorzio per svolgere, ufficialmente, le opere di bonifica del territorio.

Inoltre, si sarebbe appurato il coinvolgimento di esponenti delle famiglie mafiose Perre-Barbaro nella percezione indebita di contributi comunitari all’agricoltura, tra il 2009 e il 2013; e in truffe ai danni dell’Inps di Reggio Calabria realizzate mediante con la presentazione di documentazione attestante delle false assunzioni temporanee di braccianti agricoli, così da ottenere il pagamento, non dovuto, di contributi previdenziali e di disoccupazione.

Con al’aiuto dei Carabinieri delle Politiche Agricole e Agroalimentari e del Nucleo Antifrodi di Salerno, sono stati documentati numerosi casi di truffa aggravata per il ottenere queste erogazioni, commessi a danno delll’Arcea (l’Agenzia della Regione Calabria per le Erogazioni in Agricoltura.

LA “LOCALE” DI ARDORE

Dalle indagini emergerebbe poi l’attivazione di una sovrastruttura intermedia, denominata “Corona” con tanto di relative cariche, che avrebbe avuto lo scopo di accrescere il prestigio dei cinque Locali che la compongono.

Nello stesso ambito si sarebbero documentati degli attriti, tra gli affiliati della Locale di Ardore e una parte della comunità Rom locale, dovuti alle attività criminali di questi ultimi che andavano in contrapposizione alla cosca.

L’indagine ha riguardato, per una parte, anche le dinamiche interne al Locale del capoluogo reggino, documentando il ruolo di vertice di Francesco Pangallo della cosca Latella-Ficara, attiva nella zona sud della città, che avrebbe riferito spesso a Giuseppe Pelle delle notizie, coperte da segreto istruttorio, veicolategli da Giovanni Zumbo, amministratore giudiziario del Tribunale del capoluogo che, grazie alla sua posizione, le avrebbe apprese a sua volta da ambienti giudiziari.

Pangallo è sospettato poi di avere avuto un ruolo nella vicenda del posizionamento di una vettura con all’interno armi ed esplosivo e ritrovata dai Carabinieri lungo il tragitto che, il 21 gennaio 2010, avrebbe dovuto seguire il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante la sua visita a Reggio Calabria.

L’UNITARIETÀ, LA SEGRETEZZA E I DIVERSI LIVELLI

Le investigazioni, sostengono infine gli inquirenti, avrebbero consentito di “ricondurre ad un quadro omogeneo vicende ed articolazioni solo apparentemente isolate, contestualizzandole all’interno di uno scenario nel quale la ‘Ndrangheta si afferma, ulteriormente, quale struttura unitaria, segreta, articolata su più livelli e provvista di organismi di vertice.

L’operazione confermerebbe dunque, ancora una volta, come le cosche della provincia reggina, in particolare quelle della Jonica, rimangano “il centro propulsore delle iniziative dell’intera ‘Ndrangheta, cuore e testa dell’organizzazione, nonché principale punto di riferimento di tutte le articolazioni extraregionali, nazionali ed estere”.

Sotto questo aspetto, per gli inquirenti l’operazione di oggi avrebbe senz’altro “inflitto un significativo colpo alla ‘Ndrangheta, privandola degli esponenti apicali e indebolendo le sue numerose articolazioni territoriali anche grazie al sequestro preventivo di un cospicuo patrimonio”, costituito da 13 aziende oltre che da un complesso immobiliare.