La cosca e il business dei rifiuti: cinque fermi, colpiti i vertici del clan De Stefano

Reggio Calabria Cronaca

Cinque fermi di indiziato di delitto sono stati disposti dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria nei confronti di altrettante persone ritenute di vertice e affiliate di rilievo alla potente cosca De Stefano, ed eseguiti stamani dagli agenti della Questura del capoluogo.

Le accuse a loro carico sono, a vario titolo, di associazione mafiosa e varie estorsioni. L’indagine, condotta dalla Squadra Mobile avrebbe fatto luce sui vari interessi economici e sulle modalità di infiltrazione nel lucroso settore imprenditoriale dello smaltimento dei rifiuti da parte del clan di ‘ndrangheta egemone nella città dello Stretto.

I soggetti fermati nel corso dell’operazione, denominata “Trash”, e che su ordine della Dda sono finiti in carcere, sono accusati di aver fatto parte, sempre nell’ambito della cosca De Stefano, di un’articolazione che avrebbe dovuto garantire il controllo della Fata Morgana Spa, anche attraverso il mantenimento di stretti rapporti - dapprima accettati, poi imposti con modalità intimidatorie - con Salvatore Aiello della società a capitale misto che gestiva la raccolta differenziata dei rifiuti, ma anche di alcune società private che operano nell’indotto, in particolare nella fabbricazione e manutenzione dei mezzi utilizzati per la raccolta dei rifiuti. Secondo gli inquirenti sarebbe stato imposto il pagamento di ingenti somme di denaro a titolo di estorsione, la scelta di fornitori compiacenti e l’assunzione di personale “gradito”.

Tra i fermati c’è anche Orazio De Stefano, considerato elemento di primo piano dell’omonima cosca del quartiere Archi, e che è stato latitante per sedici anni, venendo catturato dalla Mobile nel 2004. Oggi è ritenuto il vertice della linea gerarchica, interna alla cosca, a cui era stata delegata l’infiltrazione nel mercato dei rifiuti e la stipula di patti “spartitori” con altri clan di ‘ndrangheta coinvolti nello stesso settore. Sarebbe stato lui ad impartire le direttive strategiche ai sodali controllando il comparto.

Nelle maglie degli inquirenti è finito poi Paolo Rosario De Stefano, anch’egli latitante per quattro anni, fino a quando venne catturato nel 2009. L’accusa che oggi gli contesta la Dda è di essere un coordinatore della cosca, in una posizione però subordinata rispetto allo zio Orazio, e con il compito di gestire gli aspetti operativi delle attività di infiltrazione; di tenere direttamente i rapporti con le “parti offese, tra i quali il direttore operativo della Fata Morgana; di avanzare richieste estorsive; di riscuoterne le somme (delegando il cugino Paolo Caponera) e di impartire disposizioni agli altri affiliati per mettere in atto azioni “correlate” alla consumazione delle attività estorsive.

I DESTINATARI DEL FERMO

Le persone raggiunte dal provvedimento, e tutti di Reggio Calabria, sono Orazio Maria Carmelo De Stefano, nato nel 1959; Paolo Rosario De Stefano, già Paolo Rosario Caponera, nato a Melito Porto Salvo nel 1976; Paolo Caponera, nato nel 1979; Giuseppe Praticò, nato nel 1965; Andrea Saraceno, nato nel 1951.

Paolo Caponera, Giuseppe Praticò e Andrea Saraceno, sono accusati di essere partecipi della cosca De Stefano - Caponera anche come coordinatore ed organizzatore delle attività operative dei secondi e degli altri sodali coinvolti, su mandato di Orazio e Paolo Rosario De Stefano e nel tempo della loro detenzione - e di avere eseguito e organizzato le attività della cosca, tra le quali quelle di rilievo strategico, consumate ai danni della Fata Morgana e delle aziende dell’indotto.

15 MILA EURO AL MESE PER OGNI COMMESSA

I fermati sono poi accusati di estorsione aggravata e continuata in concorso, per avere costretto Aiello - con violenza e minaccia - a consegnare, a partire dal 2002, una somma di circa mille/duemila euro per ciascuna commessa e, dal 2005, di 15 mila euro mensili, agli esponenti della cosca referenti per la riscossione. Il dirigente sarebbe stato anche costretto a concludere contratti con fornitori di beni e servizi indicati dal clan; ad assumere almeno sei persone, tra cui Giuseppe Praticò, fermato nella notte insieme agli altri 4 indagati.

LO SPOLPAMENTO DELLA FATA MORGANA

Per questo motivo le dichiarazioni rese da Aiello (già direttore tecnico della Fata Morgana ma di fatto suo amministratore), confermate dalle indagini svolte dalla Squadra Mobile (tra cui intercettazioni nei confronti degli esponenti della cosca), avrebbero consentito di individuare le dinamiche criminali dello “spolpamento” della stessa azienda da parte della ‘ndrangheta, e più in generale delle infiltrazioni nel lucroso settore economico dei rifiuti - che si regge su lauti finanziamenti pubblici - anche attraverso la creazione e gestione di società a partecipazione pubblica.

Le indagini avrebbero pertanto portato a svelare come il potente casato mafioso di Archi, nella sua articolazione capeggiata da Orazio Maria Carmelo De Stefano, sia riuscito ad intercettare ingenti risorse pubbliche destinate al servizio della raccolta dei rifiuti. Dalle investigazioni è anche emerso che qualsiasi difficoltà “ambientale” sorta nell’ambito del territorio in cui operava la Fatamorgana (18 comuni della provincia reggina), sarebbe stata affrontata e risolta grazie all’autorevolezza dei De Stefano, che poteva far leva sul proprio prestigio mafioso riconosciuto dalle altre famiglie di ‘ndrangheta.

Non meno invasivo è stato il comportamento dei De Stefano nel settore dell’indotto, costituito principalmente da ditte specializzate nella fabbricazione e manutenzione dei mezzi della raccolta dei rifiuti.

Le attività della cosca, spiegano gli inquirenti, avrebbero finito “per determinare l’inesorabile declino finanziario e la capitolazione della società mista Fata Morgana … e delle aziende private dell’indotto”.

I RUOLI DEI FERMATI

Quanto al profilo delinquenziale dei soggetti sottoposti a fermo, va detto che Orazio De Stefano, considerato il regista occulto dell’infiltrazione nel comparto, è il fratello del capo storico don Paolo, ucciso in agguato mafioso ad Archi il 13 ottobre del 1985. È stato latitante dall’otto marzo 1988 al 22 febbraio 2004, quando venne individuato e catturato in un appartamento della città, al termine di incessanti indagini svolte dalla Squadra Mobile.

Paolo Rosario De Stefano, già Caponera, nipote di Orazio, come dicevamo è stato anch’egli latitante dal 18 novembre 2005 al 18 agosto 2009. Nel 2002, ha acquisito il cognome De Stefano, essendo stato riconosciuto come figlio legittimo del defunto “boss” Giorgio Carmelo. Nel tempo, avrebbe affermato la sua leadership criminale gestendo la latitanza dello zio fino al 2004, divenendone la sua “longa manus”.

Paolo Caponera, primo cugino di Paolo Rosario De Stefano, avrebbe invece favorito la latitanza di quest’ultimo e di Orazio. Andrea Saraceno, ritenuto storicamente organico alla cosca De Stefano, avrebbe svolto l’incarico di responsabile dell’autoparco dei mezzi del Comune di Reggio Calabria ai tempi in cui ancora la raccolta dei rifiuti solidi urbani veniva effettuata ad opera dell’Ente Locale.

Giuseppe Praticò, zio di Paolo Caponera, è emerso durante le indagini per la cattura di Paolo Rosario De Stefano. Alcuni suoi cognati, ritenuti vicini alla famiglia De Stefano, vennero uccisi durante la seconda guerra di ‘ndrangheta. Sfruttando la posizione di dipendente delle società di raccolta dei rifiuti solidi urbani in città ed in provincia, avrebbe svolto il ruolo di portavoce “privilegiato” degli interessi della cosca.

(ultimo aggiornamento 10:19)