“Eracle”: il controllo dei locali e il “terrore” della movida tra intimidazioni e spaccio

Reggio Calabria Cronaca

La gestione del servizio di buttafuori nei locali della movida reggina non era solo un modo per guadagnare denaro, sebbene in un vero e proprio monopolio del mercato, ma sarebbe stata sfruttata come un “volanodel metodo intimidatorio, cosa che caratterizza il fare della ‘ndrangheta, e che si spingeva fino al punto da ferire a colpi d’arma da fuoco, a distanza di alcune ore e dopo averlo ricercato per la città, il cliente di un locale che avrebbe messo in discussione la loro autorità criminale: la vicenda si riferisce al ferimento avvenuto all’alba del 29 agosto del 2015 nei pressi di un bar della città e su cui indagò allora la mobile reggina.

È questo uno dei dettagli che emerge dall’operazione “Eracle” che, stamani, ha portato al fermo di 15 persone tra i “rampolli” delle cosche locali dei Condello di Archi e Stillitano di Vito e che metterebbe anche in luce come sfruttando proprio il servizio di buttafuori, alcuni degli indagati avrebbero avviato un fiorente traffico di droga (in particolare cocaina e marijuana) utilizzando una stabile organizzazione criminale, con una ramificata vendita al dettaglio, e attiva nei locali notturni.

Alcuni protagonista delle vicende, poi, sempre secondo gli inquirenti, sarebbero stati protagonisti di quelli che vengono definiti “inquietanti” e “specifici” episodi di estorsione, rapina ed altri reati che hanno minato la serenità ed il vivere tranquillo della città.

Le indagini, coordinate dal procuratore capo e dai sostituti procuratori Dda Stefano Musolino, Walter Ignazzitto, Sara Amerio, Giovanni Gullo, avrebbero così permesso di disarticolare la presunta “dirigenza” di un “sottogruppo criminale” numeroso e pericoloso, considerato come inserito nella Cosca Rugolino e con base nel quartiere di Arghillà: al vertice vi sarebbero stati i fratelli Cosimo, Fabio ed Andrea Morelli.

Il sottogruppo operava furti di autovetture, in abitazioni, ma anche scippi e traffico di stupefacenti; era anche fornito di una ingente disponibilità di armi che lo aveva reso punto di riferimento anche per altre compagini criminali della zona.

Controllando gli indagati, carabinieri e polizia hanno individuato altri esponenti della Cosca Stillitano (i cui vertici erano stati arrestati nell’indagine “Sistema Reggio”) e individuato alcuni fornitori alle cosche di armi e munizioni.

IL RUOLO DEL DOMENICO NUCERA

Le investigazioni sono partite dal monitoraggio di Domenico Nucera, una presenza assidua della pizzeria “Mirablù”, nel centro città. La Procura si dice certa di aver dimostrato, da subito, un’effettiva intestazione fittizia della stessa pizzeria, tra l’altro luogo di ritrovo di numerosi esponenti dello schieramento Condelliano, a Natale Antonio Canale e di fatto gestita dal compagno della figliastra, Nucera appunto.

Quest’ultimo, poi, avrebbe avuto buoni rapporti di amicizia con Domenico Tegano, figlio del presunto Boss Pasquale, che spesso è stato visto nella pizzeria e sull’auto di Nucera.

LA RAPINA AL “CENTER STOCK”

Le attività avrebbero dunque rilevato come gli associati avessero una reale disponibilità di armi, cosa dimostrata il 19 dicembre del 2016 in occasione di una rapina che sarebbe stata commessa da Bruno Magazzù nel “Center Stock” di Viale Calabria. Magazzù fu arrestato e venne recuperata la somma di quasi 32 mila euro, mentre un complice riuscì a fuggire con parte della refurtiva.

Nel corso dell’indagine si sarebbe così capito che Nucera e Ferrante fossero al corrente dell’accaduto e che avrebbero mantenuto la famiglia di Magazzù mentre questo era in carcere.

IL PROCACCIAMENTO DI ARMI DA FUOCO

L’addetto al reperimento e al procacciamento delle armi per l’associazione sarebbe stato Vincenzo Ferrante che, tramite Francesco Barbaro o Cosimo Morelli, si sarebbe adoperato per la sostituzione o l’acquisto delle armi sotto la supervisione del Domenico Nucera.

In diverse conversazioni intercettate quest’ultimo avrebbe intimato a Ferrante di prodigarsi per trovare nuove armi per lavorare”; qualsiasi cosa capita, pure mitragliette.” avrebbe risposto in tal senso Ferrante rassicurandolo che avrebbe avuto anche la disponibilità di denaro contante, in quanto gli sarebbe bastato recarsi ad Archi a prenderlo: elemento questo che per gli inquirenti definirebbe pertanto “una materiale assistenza economica delle famiglie Arcote” al contesto associativo.

L’ATTIVITÀ DI GUARDIANIA AI LOCALI

In base alla tesi accusatoria, il controllo del territorio da parte di Nucera e dei suoi presunti consociati, si sarebbe tradotto anche nell’impiego di alcuni individui nell’attività di “buttafuori” nei locali di Reggio Calabria. “Il contesto Buttafuori – sostengono gli inquirenti - deve intendersi come propria espressione della ‘ndrangheta sul territorio”.

Nucera, con l’aiuto di alcuni dei ragazzi che, per suo conto, avrebbero effettuato il servizio, dopo un litigio iniziato al lido “Ni’u”, avrebbe ferito a colpi d’arma da fuoco un incensurato del posto.

LE CORSE CLANDESTINE DI CAVALLI

Sempre Nucera, inoltre, sarebbe stato un assiduo frequentatore di un ricovero per cavalli, attribuibile alla famiglia Condello: per questa “scuderia”, affermano sempre gli inquirenti, avrebbe effettuato ripetutamente delle corse clandestine sullo scorrimento veloce Gallico-Gambarie impartendo anche disposizioni sui farmaci da somministrare ai cavalli per migliorarne le prestazioni.

IL RUOLO DEGLI “STILLITANO”

Il proseguo dell’investigazione avrebbe poi messo in evidenza la figura di Vincenzo Ferrante che, in un primo momento, avrebbe operato alle dipendenze di Nucera e poi, ritrovata la sintonia criminale con lo zio Domenico Stillitano, avrebbe iniziato ad operare per conto di quest’ultimo.

L’avvicinamento allo “Zio Mico” e quindi il suo interessamento al sostentamento economico della famiglia, avrebbe inasprito il rapporto con i fratelli Cosimo e Andrea Morelli. Cosa che avrebbe portato Ferrante a chiedere aiuto a Salvatore Falduto, ritenuto a sua volta uno storico affiliato della famiglia Stillitano il quale si sarebbe intromesso per distendere la situazione indottrinando Ferrante sul forte legame tra lo “Zio Mico” e i fratelli, in particolare Andrea, con il quale aveva condiviso un periodo di detenzione nonché sul placet mafioso delle cosche di riferimento.

I malumori di Ferrante si sarebbero però acuiti il 29 agosto del 2016, quando venne rubata un’auto di proprietà di Andrea Gianpaolo Vazzana, cugino di Andrea Vazzana, storicamente affiliato alla famiglia di Pasquale Condello, detto il Supremo”.

A seguito furto Nucera, tramite Salvatore Falduto, avrebbe interpellato Cocò Morelli così da riottenere l’autovettura; Ferrante, autonomamente, si sarebbe inserito nella vicenda e, andato a casa di Morelli, ne sarebbe nata un’accesa discussione tanto da minacciarlo di ucciderlo.

Nella stessa giornata Ferrante si sarebbe rivolto anche a Enrico Giovanni Barcella, dipendente della ditta edile intestata alla moglie di Francesco Ferranto, per avere le armi della “famiglia” custodite, dicendogli di aver avuto l’avallo del fratello Francesco, ma senza ottenere risultato.

Nucera, allora, temendo che la situazione potesse degenerare, avrebbe parlato con Morelli e, successivamente, con Francesco Ferrante, fratello di Vincenzo, riuscendo a ricomporre il dissidio che si era creato.

IL RUOLO DEI MORELLI

Secondo le indagini, poi, vi sarebbe stato ruolo di interlocutore privilegiato che i fratelli Cosimo, Andrea e Fabio Morelli avrebbero assunto nel contesto delinquenziale reggino. Gli stessi, oltre all’approvvigionamento di armi per conto dei loro referenti, avrebbero potuto contare su un corposo numero di fiancheggiatori resisi protagonisti di reati predatori in diverse zone della città. Un esempio sarebbe l’episodio del furto dell’autovettura di Andrea Gianpaolo Vazzana.

IL TRAFFICO DI STUPEFACENTI

Infine, gli investigatori avrebbero individuato un’attività di spaccio posta nella zona di Viale Manfroce-Ponte della libertà che si ritiene fosse gestita principalmente da Vincenzo Ferrante con la collaborazione di collaboratori fidati, tra cui Antonino Saladino e Giovanni Magazzù.

Dalle intercettazioni emergerebbe il canale di Ferrante per l’acquisto ed il taglio dello stupefacente da smerciare, individuato per l’appunto in Fabio Puglisi, addetto tra l’altro alla custodia della “bianca” da consegnare a Vincenzo.

Il 18 maggio del 2016 Antonino Saladino venne trovato con 9 grammi di marijuana. Il 18 giungo successivo, invece, durante una perquisizione in casa di Puglisi vennero scoperti oltre 18 grammi di cocaina e più di 280 di marijuana, oltre a delle compresse di “Mylicon”, di solito utilizzate per tagliare la droga.

I DESTINATARI DEI PROVVEDIMENTI

Luciano Baione, nato a Reggio Calabria il 04.02.1990; Francesco Barbaro, nato a Melito di P.S: il 02.11.1994; Enrico Giovanni Barcella, nato a Reggio Calabria il 05.08.1976; Salvatore Falduto, nato a Villa S. Giovanni il 10.09.1964; Francesco Ferrante, nato a Reggio Calabria il 07.02.1973; Fabio Vittorio Minutolo, nato a Reggio Calabria il 09.07.1978; Andrea Morelli, nato a Reggio Calabria il 06.09.1982; Cosimo Morelli, nato a Reggio Calabria il 27.05.1980; Fabio Morelli, nato a Melito Porto Salvo il 19.04.1988; Domenico Nucera, nato a Reggio Calabria il 01.06.1981; Antonino Saladino, nato a Reggio Calabria il 09.06.1987; Fabio Caccamo, nato a Melito di Porto Salvo (R.C.) il 31.7.1979; Basilio Cutrupi, nato a Reggio Calabri il 7.5.1986; Michele Panetta, nato a Reggio Calabria il 3.7.1986; Giuseppe Emanuele Pecora, nato a Reggio Calabria il 5.1.1985.