Referendum. Riformisti Italiani: le ragioni del nostro No

Crotone Politica

Riceviamo e pubblichiamo.

“In vista del referendum del 4 dicembre, la nostra leader nazionale Stefania Craxi e l’ex ministro Stefano Caldoro, presidente nazionale del Nuovo Psi, assieme ad undici parlamentari di Forza Italia e ad ex parlamentari, tra cui l’ex Ds-Pd Mario Barbi nella veste di coordinatore, hanno costituito, nei giorni scorsi, il comitato “Riformisti per il No – Noi della grande riforma”, nel quale ci riconosciamo pienamente, condividendo le finalità e le iniziative che il comitato stesso sta portando avanti sull’intero territorio nazionale.

Le ragioni del nostro “NO” risiedono nella consapevolezza che la revisione della Costituzione, varata dal Governo Renzi con l’appoggio di una maggioranza ristretta, formata dal Pd, da sue appendici e da gruppi parlamentari di origine trasformistica che fungono di volta in volta da stampella al governo stesso, non riforma bensì deforma la stessa Carta costituzionale. Questa riforma non abolisce il Senato ma dà origine ad un organo costituzionale privo di legittimazione diretta, con modalità irrituali quanto allo stato ancora poco comprensibili, sia nella composizione che nel funzionamento.

Il procedimento legislativo, anziché essere semplificato, sarà farraginoso per l’introduzione di una moltitudine di procedure differenziate in base agli argomenti trattati e, pertanto, ci sarà un incremento dei contenziosi costituzionali con il protrarsi dei conflitti tra le due camere che, inevitabilmente, rallenterà il processo di approvazione delle leggi. È facilmente ipotizzabile anche un aumento, già verificatosi con la riforma costituzionale del 2001, della conflittualità tra lo Stato e le Regioni per i persistenti ambiti di incertezza tra competenze esclusive dello Stato e quelle delle Regioni.

Il Senato, sottratto all’elezione diretta, poiché composto da membri che svolgeranno le proprie funzioni a tempo perso in quanto già impegnati nell’assolvimento del mandato elettivo di consigliere regionale e/o sindaco, rischia di causare un vulnus grave nell’ordinamento qualora non funzionasse e, nella migliore delle ipotesi, qualora invece funzionasse, manderebbe in tilt la macchina dello Stato sia per il potere di veto acquisito in materie di primaria importanza sia per il potere legislativo concorrente in qualsiasi campo (potere concorrente eliminato dal titolo V per i rapporti Stato-Regioni ma portato a livello nazionale ed attribuito appunto al Senato).

La “riforma Boschi” nel rapporto tra lo Stato e le autonomie provocherà tensioni ed ingovernabilità: da un lato si deresponsabilizzano le Regioni e dall’altro si complica il procedimento legislativo e si attribuiscono poteri estesi e pervasivi ad un Senato che, in virtù di un potere legislativo paritario, avrà competenze su leggi di revisione della Costituzione e su altre leggi costituzionali nonché su tutta la normativa riguardante l’UE, inclusa la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia alla stessa UE. Il Senato avrà, di conseguenza, potere di veto e potrà esercitare la sua pressione sul Governo e sulla Camera, senza che ci sia un organo chiamato a dirimere i conflitti!

La modifica apportata all’art. 119 della Costituzione, con l’introduzione del principio dei costi e dei fabbisogni standard, mina l’integrità del Paese e spiana la strada al divario, che sarà incolmabile, tra Nord e Sud, lasciando quest’ultimo alla deriva, privo di servizi essenziali e di prospettive di sviluppo. Una siffatta modifica premia le regioni forti, perché più ricche e favorite dai decennali trasferimenti di risorse, a discapito di quelle più deboli e di fatto rende definitiva la frattura tra le diverse aree del Paese.

L’architrave della nuova architettura dello Stato disegnata dalla riforma Boschi è l’Italicum, la nuova legge che disciplina l’elezione della Camera dei deputati, normativa oggetto di critiche e contestazioni perché assegna il premio di maggioranza (340 seggi) non alla coalizione vincente ma alla sola lista che ottiene almeno il 40% dei voti validi oppure il maggior numero di voti al ballottaggio. Nella seconda ipotesi, può anche verificarsi che a prevalere sia una lista che abbia ottenuto al primo turno soltanto il 25% e che, ciononostante, poi esprima il Presidente del Consiglio. Questi, in entrambe le ipotesi, si troverà a guidare il Paese con il sostegno di una maggioranza che alla Camera, unico organo che è emanazione del suffragio elettorale ed il solo deputato a votare la fiducia al Governo, non sarà espressione della maggioranza degli elettori.

Riteniamo che una vera riforma istituzionale non possa né debba essere varata, come invece è stata quella della Boschi, da un parlamento, costituito da nominati ed asserviti, che troppo spesso è stato soggiogato, imbavagliato ed umiliato dalle continue imposizioni della questione di fiducia alle quali non ha saputo o voluto ribellarsi nè sottrarsi. A nostro avviso, il compito di realizzare una riforma che garantisca la governabilità del Paese, che riequilibri il rapporto tra i poteri dello Stato e restituisca a ciascuno la pienezza delle proprie funzioni e la propria autonomia, che sottragga il potere giudiziario dall’influenza politica, deve essere demandato ad un’Assemblea Costituente, eletta con metodo proporzionale senza sbarramento. Soltanto l’Assemblea Costituente, in quanto legittimata dal consenso popolare e, quindi, rappresentativa della volontà degli Italiani, avrebbe l’investitura e l’autorevolezza per riesaminare e rivedere metodi di elezione, struttura dei poteri, composizione degli organi, procedure ed articolazioni funzionali, per modernizzare l’architettura dello Stato, apportando i correttivi necessari come la revisione della Costituzione e la riforma delle istituzioni, e per varare una forma di governo efficiente e funzionale".

Michele Calvo, Coordinatore provinciale dei “Riformisti Italiani

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