Sanità. Cittadinanzattiva: liste d’attesa lunghissime e ticket troppo alti

Crotone Salute

Lo scorso 23 febbraio è stato presentato il Rapporto 2015 dell’Osservatorio Civico sul federalismo in sanità, realizzato dal Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva.

Il quadro descrive un’Italia divisa nell’accesso alle cure dove quasi un cittadino su dieci rinuncia a curarsi a causa di liste di attesa eterne e degli alti costi dei ticket.

Purtroppo – spiegano da Cittadinanzattiva Crotone - il nostro Paese, la nostra sanità, non riescono a rispondere in maniera uniforme al bisogno di salute degli italiani. Al Sud va la maglia nera, ma anche Veneto e Lazio sembrano meno efficienti che in passato. Cambia a seconda delle regioni anche l’accesso ai farmaci innovativi, in particolare quelli per i tumori e l’epatite C. Il paradosso più grande però, è che nelle Regioni in cui il cittadino spende di più, a causa dell’aumento della spesa privata per le prestazioni e della tassazione, i livelli essenziali sono meno garantiti che altrove. PIÙ PAGHI, MENO SERVIZI HAI.

Secondo l’osservatorio, la spesa privata sostenuta dagli italiani per le prestazioni sanitarie è al di sopra della media OCSE (3,2% a fronte di 2,8%) e cambia a seconda delle Regioni (€781,2 in Valle d’Aosta a fronte di € 267,9 in Sicilia). Secondo dati del 2013, invece, la spesa sanitaria pubblica pro capite è al massimo nella Provincia autonoma di Trento (€ 2.315,27) e Bolzano (2.308,21) e in Valle d’Aosta con 2.393,03, mentre presenta valori minimi in Campania (€ 1.776,85).

Nelle Regioni in piano di rientro, il livello di tassazione è più elevato; l’addizionale regionale Irpef media più alta è stata registrata nel Lazio (€470 per contribuente) seguita dalla Campania (€440). In queste regioni, l’aliquota Irap media effettiva ha raggiunto il suo valore massimo (4,9%). In generale nelle stesse Regioni, soprattutto la Campania, a fronte di una minore spesa pubblica e di una elevata tassazione, i cittadini hanno minori garanzie nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza. Questo perché sono poche le Regioni che hanno saputo interpretare il federalismo sanitario come strumento per rispondere alle esigenze dei cittadini.

TICKET E LISTE DI ATTESA

Continuano ad aumentare rispetto agli anni scorsi le difficoltà riscontrate dai cittadini ad accedere alle prestazioni sanitarie pubbliche; insieme al costo del ticket, ormai lievitato esponenzialmente, le liste di attesa rappresentano la voce più consistente tra le difficoltà di accesso e riguardano esami molto diffusi. Secondo il rapporto, infatti, tra gli oltre 26.000 cittadini che si sono rivolti nel 2015 al Tribunale per i diritti del malato, uno su quattro ha incontrato grandi difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie, proprio per le liste di attesa (oltre il 58%) e per i ticket (31%).

I problemi hanno riguardato soprattutto i cittadini della Calabria, del Friuli Venezia Giulia, della Liguria, delle Marche, della Sicilia, del Veneto e delle province autonome di Trento e Bolzano. E molti, circa il 7,2%, hanno deciso di rinunciare a curarsi, proprio per questi motivi. A rinunciare sono stati soprattutto i residenti del Mezzogiorno (11,2%); al Centro ha rinunciato il 7,4% dei residenti, mentre al Nord si scende al 4,1%.

Fino a 115 giorni per una ecografia. Per una visita ortopedica i tempi minimi si registrano nel Nord-Est (poco più di un mese), quelli massimi al Centro (quasi due mesi); per una prima visita cardiologica con ECG, si va dal minimo di 42,8 giorni nel Nord-Ovest al massimo di 88 giorni al Centro. E ancora, altri dati allarmanti: per l’ecografia completa all’addome bisogna aspettare almeno 57 giorni nel Nord Est, per poi arrivare ad un massimo di 115 giorni al Centro. In generale, considerando un campione di 16 prestazioni sanitarie, i tempi minimi di attesa si registrano tutti nel Nord Est o Nord Ovest, i tempi massimi, in 12 casi su 16, sono segnalati al Centro. Poiché i tempi del pubblico sono ancora più lunghi al Sud, soprattutto in Puglia e Campania, sempre più frequentemente, come ha dimostrato anche una analisi Censis del 2015, i cittadini preferiscono ricorrere direttamente al privato.

Anche i ticket variano di regione in regione: nel pubblico, sulle stesse 16 prestazioni, i ticket più bassi si registrano nel Nord Est (per 10 su 16 prestazioni), quelli più elevati nel Sud (per la metà delle prestazioni). L’importo del ticket varia di regione in regione, sia sulla farmaceutica che sulle prestazioni specialistiche ambulatoriali. Ogni anno i cittadini pagano a testa in media oltre 50 euro come quota di compartecipazione, in quasi tutte le Regioni del Nord e del Centro.

POSTI LETTO, GIORNI DI DEGENZA E ASSISTENZA TERRITORIALE

Poche, pochissime regioni rispettano lo standard dei 3,0 posti letto per acuti per mille abitanti. Inoltre, solo Piemonte, Toscana, Valle D’Aosta e Marche seguono il Regolamento sugli Standard che ha ridotto la media dei giorni di degenza per gli acuti a 7 giorni. Per quanto riguarda l’assistenza territoriale e le cure primarie, le regioni sottoposte a Piano di Rientro e soprattutto alcune regioni del Sud, non offrono risposte soddisfacenti ai bisogni della popolazione. Sei regioni, Abruzzo, Calabria, Lazio, Molise, Sicilia e P.A. di Bolzano, nel Piano sanitario non prevedono ancora l’integrazione socio-sanitaria.

PUNTI NASCITA, ANCORA LONTANI DAGLI STANDARD

Su 531 punti nascita attivi nel 2014, 98 effettuano un numero di parti inferiore ai 500/anno. Sulle 16 Regioni prese in esame dal documento “Verifica ed Adempimento LEA”, 6 (Sicilia, Calabria, Puglia, Campania, Lazio, Abruzzo) risultano inadempienti e 5 adempienti con impegno (Piemonte, Emilia Romagna, Molise, Basilicata). Tra le Regioni che hanno trasmesso il report relativo alla presenza dei punti nascita con meno di 500 parti/anno, la Basilicata ne ha attivi 3, l’Emilia Romagna 7, il Lazio 6, La Puglia e la Lombardia 9.

A livello nazionale non sono rispettate neanche le linee di indirizzo ministeriali per il parto cesareo, la media è intorno al 35,9% quando dovrebbe essere il 20%, e il record va alla Campania. Non va meglio per quanto riguarda la distribuzione delle Terapie Intensive Neonatali; i dati del 2012 indicano che gli standard fissati di almeno 1/5000 nati vivi, sono rispettati solo in quattro regioni (P.A. Bolzano, P.A. Trento, Marche e Sardegna).

Prevenzione a macchia di leopardo.

Il rapporto di Cittadinanzattiva fotografa purtroppo una prevenzione a macchia di leopardo, con un Sud che arranca e regioni come Lazio e Veneto che fanno passi indietro rispetto al passato. Anche l’accesso ai farmaci innovativi, soprattutto per i tumori e l’epatite C è diversificato di regione in regione. Solo Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria, la P.A. Bolzano e Valle d’Aosta riescono a raggiungere il 95% per le vaccinazioni obbligatorie infantili.

In 13 Regioni è stata introdotta la vaccinazione per varicella con offerta attiva e gratuita per tutti i nuovi nati, ma mancano all’appello regioni importanti come Lazio, Lombardia, Piemonte, Umbria, Emilia Romagna, Abruzzo e Valle D’Aosta. Nel corso del 2013 sono stati inviati oltre 11 milioni di inviti per partecipare ai tre programmi di screening oncologici organizzati, mammografico, colonrettale e cervicale, ma meno della metà delle persone si sono sottoposte alle prestazioni preventive. Anche in questo caso, ad andare peggio sono le regioni del Mezzogiorno.

LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA

Numeri di centri, offerta privata e pubblica, e il sostegno economico alle coppie. Questo ha chiaramente creato grandi difficoltà per le coppie, che non hanno alcuna certezza su dove poter rivolgersi e quali costi sostenere. Ciò concentra l’offerta in alcune regioni a discapito di altre, creando una forte disomogeneità di accesso e una discriminazione di quelle che risiedono in posti dove l’offerta pubblica è scarsa o addirittura nulla, come in Molise. In alcune regioni, ad esempio in Sicilia, non si attuano le delibere predisposte da anni, in altre, come nel Lazio, i centri di PMA operano pur non risultando ancora autorizzati.

Ciò che emerge dal rapporto è, ancora una volta, l’inefficienza del nostro Sistema sanitario nazionale, che troppo spesso costringe gli italiani a sacrificare la propria salute per tempi lunghi e costi insostenibili.

La risposta sembra essere solo una: il privato. I costi però, si sa, soprattutto in un momento di crisi economica, sono alti. Le mutue sanitarie possono quindi giocare un ruolo di primissimo piano. Rispetto ad altre forme di tutela sanitaria integrativa c’è l’assenza di fini lucrativi, non ci sono discriminazioni nelle persone assistite e una garanzia di assistenza per sempre, poiché non esercitano mai il diritto di recesso.