Il monopolio della cosca nell’economia locale, maxi sequestro da 33 milioni

Reggio Calabria Cronaca

Gli uomini del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e del Nucleo Speciale Polizia Valutaria, con il coordinamento della locale Procura della Repubblica, hanno eseguito nel reggino un provvedimento dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale


Un patrimonio aziendale composto da sei imprese, quasi cento immobili, ma anche autoveicoli (6) e diversi rapporti finanziari e assicurativi: ammonta a circa 33 milioni di euro il valore dei beni che, stamani, i finanzieri hanno sequestrato a soggetti ritenuti appartenenti o, comunque, vicini alla cosca di ‘ndrangheta dei Labate, clan attivo nella zona sud della città dello Stretto, in particolare nei quartieri di Gebbione e Sbarre, così come sarebbe stato dimostrato da più di una sentenza passata in giudicato.

La cosca, secondo gli inquirenti, deterrebbe il controllo assoluto sulla gestione delle attività economiche che operano nel commercio della carne, oltre che su quelli dell’edilizia e del movimento terra.

Gli uomini della Guardia di Finanza hanno eseguito indagini ed analisi economico-finanziarie e sono convinti che tutti gli investimenti effettuati dai soggetti raggiunti dal provvedimento e dai componenti dei loro nuclei familiari siano stati effettuati con denaro di provenienza delittuosa, derivante cioè da un’attività imprenditoriale “svolta secondo modalità mafiose”.

Infatti, il potere della cosca Labate - sostengono gli inquirenti - sarebbe stato sfruttato per sbaragliare la concorrenza, imporsi sul mercato, procurarsi clienti, alterando completamente le regole della concorrenza e finendo per operare nella zona in una posizione sostanzialmente monopolistica.

Tra i soggetti colpiti dalla misura di prevenzione patrimoniale vi è, innanzitutto, Michele Labate, presunto esponente di vertice dell’omonima cosca insieme al fratello Pietro, che ha all’attivo condanne irrevocabili, tra l’altro, per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso. Al riguardo gli investigatori sottolineano come Pietro Labate (già resosi latitante dal 11 aprile 2011 al 12 luglio 2013) è stato, da ultimo, sottoposto a fermo di indiziato dal Gico di Reggio Calabria per intralcio alla giustizia aggravato dalle finalità e dalle modalità mafiose, per le minacce perpetrate ai danni di una testimone in un importante processo in corso proprio nei confronti del fratello Michele e di altri esponenti della cosca Labate, e a che avrebbero avuto lo scopo di indurla a rendere una falsa testimonianza.

Gli altri interessati dal provvedimento sono i fratelli Giovanni Remo e Pasquale colpiti nel giugno del 2013, insieme a Michele Labate, da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere ritenuti gravemente indiziati dei reati di estorsione aggravata dalle modalità e dalle finalità mafiose.

La misura ha, infine, interessato gli eredi di Antonio Finti, già titolare di una merceria a Reggio Calabria, in una traversa di via Aldo Moro, e deceduto nel 2014. Si tratta di un soggetto immune da precedenti penali che, sin dagli anni ’80, avrebbe reinvestito i proventi illeciti della cosca, attraverso svariate acquisizioni immobiliari. I suo rapporti con i Labate, sostengono gli inquirenti, sarebbe stata ricostruita attraverso riscontri alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia (“io ho appreso da Michele Labate … che c’era un’altra persona che gli faceva … un’altra sorta di contenitore del grande impero dei Labate, che è un tale Tony Finti … una volta mi ha detto … mi devi portare affari soltanto nella zona dove arriva il mio compare”).

Nonostante l’intero patrimonio accumulato in vita fs Finti (71 immobili e 2 terreni, oltre a disponibilità finanziarie) fosse poi passato in successione alla moglie ed ai figli, si è proceduto al suo sequestro grazie al nuovo Codice Antimafia che consente, entro 5 anni dal decesso del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la confisca, di aggredire anche i beni pervenuti agli eredi.

L’esistenza e l’operatività della cosca Labate nella zona sud di Reggio Calabria come dicevamo è stata più volte accertata con più di una pronuncia già passata in giudicato. A tal proposito sarebbe stato riconosciuto il ruolo di primo piano di Michele Labate e del fratello Pietro e, in particolare gli investigatori ritengono di accertato che, nella zona di competenza, la cosca avrebbe avuto il controllo assoluto della gestione delle attività economiche già dal 1987.”

La situazione di assoluto dominio dell’organizzazione criminale nel territorio si sarebbe mantenuta del tutto invariata nel corso dei decenni successivi per come emergerebbe, oltre che dalle successive sentenze intervenute nel corso degli anni, anche dalle diverse dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno, tra l’altro, ricondotto i due fratelli Remo nell’orbita dei Labate (“i Remo e i Labate nel settore della carne sono stati sempre tutta una cosa”); legame, questo, che a detta di alcuni risalirebbe già alla metà degli anni ottanta.

Con riferimento a Michele Labate e ai fratelli Pasquale e Giuseppe Remo, una volta delineato il profilo di pericolosità sociale, la successiva attività investigativa del Gico reggino farebbe ritenere che le imprese a loro riconducibili sia nel “genus di quelle mafiose in quanto nate e accresciutesi sfruttando il potere mafioso della cosca Labate per sbaragliare la concorrenza, per imporsi sul mercato, per procurarsi clienti, con totale alterazione delle regole della concorrenza, finendo per operare nella zona di competenza in posizione sostanzialmente monopolistica”.

A tal fine è stata estrapolata e acquisita della copiosa documentazione - consistente in contratti di compravendita di beni immobili, di quote societarie, atti notarili - necessaria a ricostruire ogni singola operazione economica effettuata dai fratelli Labate e Remo. Il materiale acquisito è stato oggetto, quindi, di approfondimenti volti a dimostrare che tutti i loro e quelli dei componenti dei nuclei familiari siani stati effettuati con denaro di provenienza delittuosa in quanto derivante da attività imprenditoriale svolta secondo modalità mafiose.

Per quanto riguarda Antonio Finti, sebbene non sia mai stato direttamente coinvolto in procedimenti penali, gli inquirenti sostengono che la sua appartenenza alla ‘ndrangheta e, quindi, sia stata accertata attraverso diversi e precisi riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia. Le indagini effettuate dal Reparto Speciale avrebbero ricostruito le vicende economiche e finanziarie dell’intero nucleo familiare di Finti fin dal 1972. L’analisi dei flussi finanziari e la disamina dei numerosi contratti di compravendita denilieerebbero un quadro indiziario sufficientemente chiaro, “dal quale – sostengono hli investigatori - emerge come gli investimenti immobiliari effettuati nel tempo siano assolutamente sproporzionati rispetto alle risorse lecite di cui il Finti avrebbe potuto disporre. Ciò – proseguono - sebbene lo stesso avesse costantemente posto in essere negli anni accorgimenti idonei a precostituirsi un’apparente capacità economica lecita, dichiarando, ad esempio, redditi d’impresa di gran lunga superiori rispetto a quelli di attività commerciali similari per ubicazione e dimensione”.

In esecuzione del Decreto emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria sono stati, quindi, sottoposti a sequestro di prevenzione i seguenti beni riconducibili a Michele Labate, a Giovanni Remo e Pasquale e a Antonio Finti: il patrimonio aziendale e quote sociali della "Macelleria Polleria Di Remo Fortunata S.r.l.”, con sede a Reggio Calabria; la ditta individuale “Macelleria Remo Giovanni”; il patrimonio aziendale e quote sociali della “Remo Giuseppe E Figli, con sede a Reggio; il patrimonio aziendale e quote sociali della “Remo G. S.A.S. Di Romeo Maria & Figli”, con sede a Reggio Calabria; la ditta individuale “Polleria Remo Di Remo Pasquale”, con sede a Reggio Calabria; la ditta individuale “Gastronomia Di Arcudi Giovanna”, con sede a Reggio Calabria; 97 beni immobili, tra appartamenti, locali commerciali e terreni tutti a Reggio Calabria; sei autoveicoli; plurimi rapporti finanziari e assicurativi personali o aziendali.

Contestualmente all’esecuzione della misura di prevenzione, i Reparti della Guardia di Finanza stanno eseguendo numerose perquisizioni locali in tutti i luoghi nella disponibilità degli eredi di Antonio Finti, ubicati prevalentemente nei quartieri Gebbione e Sbarre della città.

(ultimo aggiornamento 11:19)