Scandalo Eni, rifiuti pericolosi anche in Calabria. Sei gli indagati

Calabria Cronaca

Sono sei i calabresi che risulterebbero indagati nell’inchiesta della Procura della Repubblica di Potenza per lo smaltimento di rifiuti pericolosi dello stabilimento Centro Oli di Viggiano. Si tratta degli amministratori della Ecosistem Salvatore Mazzotta, 43 anni, residente a Montepaone; Rocco Antonio Aversa, 53 anni, residente a Lamezia Terme; Antonio Curcio, 49 anni, residente a Lamezia Terme; di Giuseppe Fragomeni, 73 anni, e Maria Rosa Bertucci, 57 anni, rispettivamente amministratore unico e responsabile tecnico della Iam; e di Vincenzo Morise, 69 anni, amministratore unico della Consuleco. I sei sono indagati per una presunta alterazione dei codici di identificazione da assegnare ai rifiuti.

La Procura indaga su due anni (2013 e 2014) nel corso dei quali, secondo la tesi degli inquirenti, migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi sarebbero arrivate nei due impianti calabresi che tuttavia non avrebbero avuto i mezzi per trattarle. Si tratterebbe di 28mila tonnellate giunte a Gioia Tauro e circa 3.200 iniettate nel depuratore a Bisignano. Nell’inchiesta vi sarebbero altri due impianti, entrambi autorizzati a gestire i reflui in arrivo dalla Basilicata: si tratta dei depuratori di San Pietro Lametino, gestito dalla Econet, e di Crotone, di proprietà del gruppo Vrenna.

I FILONI D'INCHIESTA

A fine marzo scorso, cinque funzionari e dipendenti del centro oli dell’Eni a Viggiano, in Basilicata, sono finiti ai domiciliari con l’accusa, a vario titolo, di "attività organizzate per il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti". I Carabinieri per la tutela dell'ambiente eseguirono anche un'ordinanza di divieto di dimora nei confronti di un dirigente della Regione. I provvedimenti sono stati emessi dal Gip di Potenza in relazione ad un filone dell’inchiesta (coordinato dalla Dda) ed eseguiti nelle province di Caltanissetta, Chieti, Genova, Grosseto, Potenza e Roma.

Il secondo filone d’indagine riguarda invece l'affidamento di appalti e lavori per l'infrastrutturazione del giacimento Total di “Tempa Rossa” e giunto alle cronache nazionali anche per il presunto coinvolgimento di Gianluca Gemelli, compagno del dimissionario ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi.

LE INDAGINI SVOLTE DAL NOE

L’attività investigativa, fu avviata a seguito delle segnalazioni dei cittadini residenti a Pisticci Scalo (nel materano), dove è ubicato il depuratore industriale “Tecnoparco Valbasento”, principale recettore dei reflui prodotti dal C.O.V.A. di Viggiano. Gli investigatori del Noe avrebbero evidenziato delle responsabilità penali nei confronti di trentasette indagati in relazione, appunto, alle modalità di smaltimento dei rifiuti liquidi prodotti dal C.O.V.A., le emissioni inquinanti rilasciate in atmosfera e la qualità delle acque di strato re-iniettate nelle unità geologiche profonde attraverso il pozzo denominato “Costa Molina 2”.

In relazione alla gestione degli ingenti quantitativi di rifiuti liquidi avviati a smaltimento presso depuratori industriali in tutta Italia, si sarebbe accertata un’attività illecita di miscelazione di diversi reflui all’interno dell’impianto lucano e, conseguentemente, l’utilizzazione da parte del gestore di codici CER (i codici europei dei rifiuti) non idonei.

Ciò, sostengono gli investigatori, avrebbe determinato che i reflui liquidi derivanti dai diversi processi svolti nello stabilimento di Viggiano sarebbero stati inviati ad impianti di smaltimento, utilizzando codici CER impropri, così da non consentire la verifica che tali impianti fossero idonei ed autorizzati a trattare i rifiuti effettivamente conferiti.

Da qui la contestazione dei reati di traffico illecito di rifiuti a carico dei funzionari e dipendenti ENI (che è in questo caso il produttore del rifiuto), di altri soggetti giuridici ritenuti coinvolti nel traffico (intermediari, trasportatori nonché impianti di smaltimento ubicati nelle province di Matera, Foggia, Reggio Calabria, Cosenza, Barletta, Andria, Trani e Ascoli Piceno), nonché l’attività di miscelazione di rifiuti speciali, anche pericolosi, non autorizzata a carico di funzionari ENI.

Anche in relazione alla conduzione dell’unico pozzo di re-iniezione ad oggi operativo in Basilicata - denominato “Costa Molina 2”, nel comune di Montemurro (PZ) - attraverso il quale vengono re-iniettate nelle unità geologiche profonde le acque di scarto separate dal greggio, vi sarebbero presunte violazioni della normativa ambientale, anch’esse collegate all’attività di miscelazione dei rifiuti liquidi, oltre che reati contro la pubblica amministrazione posti in essere da dirigenti degli enti regionali, amministrativi e di controllo.

Le emissioni in atmosfera provenienti dai camini del C.O.V.A., sottoposte ad un sistema di monitoraggio in continuo, avrebbero più volte superato i limiti emissivi, così come fissati nell’autorizzazione integrata ambientale, senza che ciò trovasse riscontro nelle comunicazioni in capo al gestore. Conseguentemente sono state contestate le violazioni alle prescrizioni AIA e il falso in atto pubblico commesso da privato.

L’attività inoltre avrebbe consentito di stabilire come gli illeciti commessi abbiano garantito all’azienda petrolifera un ingiusto profitto, grazie alla re-iniezione dei reflui nel Pozzo Costa Molina 2 ed allo smaltimento dei rifiuti liquidi con CER non corretto, compreso tra i 44 ed i 114 milioni di euro. I militari hanno sequestrato preventivamente una parte degli impianti di Viggiano, del pozzo “Costa Molina 2” e del depuratore industriale “Tecnoparco Valbasento”.