Cassazione: mai schiaffi agli alunni, si rischia condanna

Calabria Cronaca

Nel rapporto tra insegnante e bambini "assume predominante rilievo il profilo educativo", con il bimbo "non destinatario passivo di una semplice azione correttiva, ma titolare di diritti, a cominciare da quello alla propria dignità". Questo "preclude in partenza ogni strumento che faccia leva sulla violenza pur orientata a scopi educativi". Lo scrive la Cassazione, confermando la condanna inflitta ad una maestra per il reato di "abuso dei mezzi di correzione".

Il "perseguimento di una finalità correttiva o educativa è del tutto irrilevante, giacchè, proprio a fronte della peculiare qualità del destinatario del comportamento, deve considerarsi preclusa qualunque condotta che assuma in concreto il significato dell'umiliazione, della denigrazione, della violenza psicologica, oltre che della violenza fisica", osservano gli 'alti' giudici, reputando "erronea" la prospettiva, che la difesa dell'insegnante aveva sottolineato nel ricorso, "circa la possibilità di far fronte anche ad uno scappellotto in situazioni particolari, che necessitino di un'azione volta a rafforzare la proibizione".

La maestra - condannata dalla Corte d'appello di Catanzaro a due mesi di reclusione e al risarcimento del danno in favore delle parti offese - era accusata di aver sottoposto in alcuni casi i bambini a "violenze fisiche, consistite in schiaffi o sberle o nel tirare loro i capelli", o a "violenze psicologiche o ancora a condotte umilianti, come il minacciarli dell'arrivo del diavoletto, nel costringerli a mangiare o a cantare, nel farli stare con la lingua fuori". Tutto cio', evidenzia la Suprema Corte, "deve considerarsi un abuso a prescindere dalla metodologia utilizzata e dalle finalità perseguite, dovendosi ritenere che un siffatto comportamento ecceda ampiamente il limite dell'educazione rispettosa della dignità del bambino e trasmodi invece in comportamenti afflittivi dell'altrui personalità". Per questo, il reato di abuso dei mezzi di correzione "puo' ritenersi integrato - si sottolinea nella sentenza - da un unico atto espressivo dell'abuso, ovvero da una serie di comportamenti lesivi dell'incolumità fisica e della serenità psichica del minore". In ogni caso, "anche al fine di legittimare una condotta incentrata al più sull'uso di atti di minima violenza fisica o morale, occorrerebbe la concreta allegazione della situazione che l'abbia giustificata", non potendosi fare "generico riferimento al numero dei bambini affidati e presupporre che si trattasse di bimbi scalmanati, tali da imporre sistemi rigorosi". Nel caso di specie, "è stato posto in luce come i bimbi nei cui confronti erano state tenute le condotte segnalate avessero manifestato reazioni anomale, consistite nel rifiuto di recarsi a scuola, di mangiare, nell'insonnia e nell'enuresi". (AGI)