Scoperti “pizzini” che dimostrerebbero la presenza della ‘ndrangheta nel Lazio, 9 arresti

Reggio Calabria Cronaca

I carabinieri del Comando provinciale di Roma stanno eseguendo stamani un'ordinanza di custodia cautelare (sette in carcere e due ai domiciliari), emessa dal gip del Tribunale della Capitale su richiesta della Direzione distrettuale Antimafia, nei confronti di nove persone (otto uomini ed una donna) quattro delle quali sono accusate di far parte, a vario titolo, di un'associazione per delinquere operante nella provincia capitolina nello spaccio di stupefacenti provenienti dalla Calabria. Per altri due, un italiano ed un albanese, l’accusa invece è quella di sequestro di persona a scopo di estorsione nei confronti di un italiano che è stato rinchiuso in un garage, picchiato e minacciato di morte poiché accusato di essersi fatto sottrarre 4 chili di eroina durante il trasporto in Puglia per la cessione ad un gruppo di criminali albanesi.

A tutti sono contestati i reati di detenzione e spaccio. Contestata anche l'aggravante della disponibilità di armi, dell'impiego di minorenni nello di spaccio nonché di aver agevolato la 'ndrangheta, con articolazioni operanti sia nella nostra regione che in Lazio per il controllo delle attività illecite sul territorio.

I militari stanno eseguendo diverse perquisizioni e sequestri di beni sia a Roma che a Tivoli, Guidonia Montecelio, Castelnuovo di Porto ma anche nel reggino, in particolare ad Africo Nuovo e Bovalino.

A capo dell’associazione, secondo gli investigatori, vi sarebbe un 34enne originario di San Luca ritenuto contiguo alla cosca “Nirta-Romeo-Giorgi”. Allo stesso viene contestata anche l'intestazione fittizia di attività commerciali per aver preso in gestione, alla fine del 2014, un bar nel centro storico di Tivoli, intestandolo ad una società, così come avvenuto per un’autovettura Smart sottratta ad uno degli associati come compensazione dei debiti maturati e non pagati.

I carabinieri di Tivoli, hanno scoperto dei cosiddetti “pizzini” scritti a mano da un presento elemento di vertice della 'ndrangheta che è al momento detenuto in carcere. Sui manoscritti vi sarebbero “istruzioni” su come l'organizzazione dovesse muoversi nella gestione dei traffici illeciti. Questo elemento, per gli inquirenti, dimostrerebbe come l'attività fosse condotta proprio per conto della 'ndrangheta calabrese.

LA DROGA DALLA CALABRIA SPACCIATA NELLA PROVINCIA ROMANA

La lunga ed articolata indagine, è avviata sempre dai militari di Tivoli che hanno posto la loro attenzione sulle “influenze” che alcuni cittadini calabresi, ritenuti legati alla n’drangheta, esercitassero sul traffico di stupefacenti nel nell’area Tiburtina e della periferia est della Capitale. Proprio i due cittadini calabresi, nel cuore della Locride, avrebbero gestito un ingente traffico di cocaina, eroina ed hashish che giungeva dalla Calabria per essere poi immessa nelle piazze di spaccio romane.

L’analisi dei “pizzini” ritrovati, poi, avrebbero consentito agli investigatori di proseguire nelle indagini fino a ricostruire l’organigramma dell’associazione gestita dai calabresi, “i quali - spiegano sempre gli investigatori - prima importavano lo stupefacente dalla loro terra d’origine e, successivamente, la cedevano a diversi gruppi organizzati dell’area tiburtina per lo spaccio al ‘dettaglio’, riportando gran parte dei proventi dell’attività illecita in Calabria”.

Inoltre, è stato trovato nel comune di Tivoli, all’interno del garage di uno dei membri dell’organizzazione, il deposito in cui erano custodite le armi nella disponibilità del sodalizio: si è infatti sequestrata una pistola cal. 6,35 Browning ed un fucile cal. 12 a canne mozze, entrambi con la matricola abrasa, sono state arrestate in flagranza 5 persone e sono stati sequestrati circa 2 kg di hashish, cocaina e marijuana. Le armi sarebbero state utilizzate, in più occasioni, dagli associati sia per minacciare ed intimorire tutti coloro che avevano dei debiti da saldare per acquisti di stupefacente o che tentavano di opporsi allo strapotere dell’organizzazione.

“Il capo dell’organizzazione – affermano ancora gli inquirenti - era solito utilizzare un comportamento ‘mafioso’ tanto da non esitare a minacciare con la pistola dei rumeni che frequentavano un bar di Guidonia dove lui si recava quotidianamente o far giungere una busta con all’interno un proiettile al proprietario del bar che si era lamentato per il suo comportamento con i clienti”.

UN GIRO D’AFFARI DA CENTINAIA DI MIGLIAIA DI EURO

Il giro d’affari gestito dall’organizzazione era molto elevato, in quanto sono state documentate diverse trattative per lo scambio d’ingenti quantitativi di stupefacente che, una volta piazzati sul mercato, potevano fruttare centinaia di migliaia di Euro. I proventi delle attività venivano quindi in parte riportati in Calabria ed in parte reimpiegati in attività regolari che venivano spesso intestate fittiziamente a prestanome per eludere i controlli delle forze dell’ordine.

(Aggiornata alle 10:45)