Telint Sud vuole chiudere: 85 lavoratori a rischio

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"Ancora una società che svolge attività di Call Center in Calabria che viene colpita dalla crisi, ancora una volta i lavoratori vittime di una crisi di sistema. È quello che sta accadendo ai lavoratori di Telint sud Srl. Società di call center con sede legale in Piemonte e sede operativa a Rende ha dichiarato di voler cessare la propria attività, preannunciando 85 licenziamenti".

E' quanto denuncia in una nota della segreteria regionale Slc Ccil Calabria spiegando inoltre che "Il call center ìche opera dal 2003 a Rende, svolgendo attività di telemarketing per una nota industria di cosmesi, sta per chiudere i battenti sotto i colpi di una crisi di sistema derivante da un mercato drogato da appalti al massimo ribasso e contributi all’occupazione.Nel 2012, infatti, la Telint sud srl si è resa protagonista di una svolta anticorrente rispetto al mercato di riferimento. La società che svolge attività prevalentemente in outbound, affidandosi alla riduzione del costo del lavoro offerta dalla legislazione vigente in materia di sgravi contributivi, in controtendenza rispetto a tutti i call center che svolgono attività di teleselling e telemarketing, avviò le procedure di stabilizzazione per il proprio personale, trasformando i contratti di collaborazione a progetto, in contratti a tempo indeterminato part time al 90%.

"Sicuramente - aggiungono dal sindacato - un passo importante, una svolta per i lavoratori impattati, che dopo anni di precarietà venivano finalmente assunti con un contratto stabile. Tutto bello, e come per altre vicende similari, i primi tre anni scorrono via tranquilli, finché non arriva la più classica della resa dei conti: trascorsi i 3 anni gli effetti degli sgravi contributivi finiscono! Scoppia quindi la crisi, l’azienda non può reggere il costo pieno del lavoro nel mercato di riferimento, e cominciano le danze. L’azienda annuncia la crisi e trova una soluzione capestro sottoscrivendo un accordo di prossimità con la confederazione della UGL. Un accordo che prevede una forte riduzione dei costi salariali ridotti ai minimi tabellari, con il conseguente congelamento degli altri elementi di retribuzione contrattuale. Una intesa che prevedeva quindi un abbattimento del salario mensile di ciascun dipendente di circa 600 euro mensili a fronte delle stesse ore lavorate".

I lavoratori però non ci stanno, si mobilitano e con l’aiuto della Slc Cgil e il coinvolgimento dell’Ugl Telecomunicazioni respingono la proposta al mittente definendola "inaccettabile ed offensiva per la stessa dignità dei lavoratori". La risposta dell’azienda non si fa attendere, e arriva l’apertura della procedura di licenziamento collettivo per cessazione dell’attività. Iniziano gli incontri ed i confronti tra le parti così come previsto dalla legge, ma l’accordo non si trova, troppa distanza tra le proposte aziendali e le esigenze dei lavoratori rappresentati.

La Slc Cgil "con grande senso di responsabilità, nonostante la scarsa credibilità del piano industriale presentato dall’azienda e senza alcuna garanzia lato committente", afferma, propone un insieme di strumenti di flessibilità e riduzione dei costi pur di salvaguardare gli 85 posti di lavoro. "Ma l’azienda si defila e prosegue sulla via della chiusura, sostiene il sindacato che dice "Adesso basta il vaso è colmo! Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una società del nord, che investe in Calabria, usufruisce per tre anni degli sgravi contributivi, al termine dei quali chiude per cessazione dell’attività ma non prima di far partire quel meccanismo di ricatto sociale e sfruttamento della disperazione, proponendo ai lavoratori condizioni capestro fino ad arrivare addirittura al ripristino dei contratti di collaborazione a progetto".

"Quando finirà questo scempio? Quando il governo deciderà di mettere mano al settore stabilendo una regolamentazione degli appalti e di lotta al dumping salariale? Se anche questa vicenda si chiuderà con il licenziamento dei lavoratori - proseguono dalla Sigla - ci ritroveremo nel film, già più volte visto, che lo stato, e quindi i contribuenti, pagherà per due volte lo sfrenato liberismo e scellerato “lassez faire” che caratterizza il settore. Sgravi contributivi e fiscali come agevolazione in entrata, naspi e ammortizzatori sociali come aiuto in uscita".