Un anno di bracconaggio in Italia: lo studio del CABS

Calabria Attualità

Un altro anno di bracconaggio si è concluso insieme alla stagione di caccia. E purtroppo le notizie non sono buone per la fauna selvatica: quest'anno con 706 casi raccolti attraverso notizie di stampa e ben 1.594 persone coinvolte in reati nei confronti degli animali selvatici, si è constatato un aumento del 28,8% di casi in più della stagione precedente.

I dati abbracciano il periodo dal 1 febbraio 2014 fino al 31 gennaio 2015 e sono pubblicati dal CABS (Committee Against Bird Slaughter) in collaborazione con la LAC (Lega Abolizione Caccia) che quest'anno arrivano alla 4° edizione del "Calendario del Cacciatore Bracconiere".

"Anche quest'anno abbiamo segnato uno a uno tutti i casi noti di uccisione di esemplari di fauna selvatica, dagli abbattimenti di lupi a Grosseto, ai falchi pecchiaioli sparati sullo stretto di Messina, ai numerosi bracconieri di cardellini a Napoli, come ai cacciatori bresciani di pettirossi e altri piccoli uccelli. Dall'insieme di questi dati riusciamo a ricostruire con una certa precisione il fenomeno del bracconaggio e della caccia illegale in Italia", comunica Alex Heyd, direttore del CABS.

Il bracconaggio in Italia è stato oggetto recente dell'apertura di un Pilot (una richiesta di informazioni che precede la procedura d'infrazione) da parte della Commissione Europea, allarmata dall'alto tasso di uccisioni illegali che si verificano nella nostra penisola. E certo a ragione.

Nella stagione appena trascorsa il bracconaggio ha imperversato in Italia. Ne hanno fatto le spese 1 orso marsicano abbattuto a Pettorano sul Gizio, 23 lupi (13 uccisi a fucilate, 7 con veleno e 3 con i lacci). Fra gli uccelli invece 2 aquile reali, 4 astori, 8 falchi pellegrini, 1 lanario, 1 smeriglio, 2 falchi pescatori, oltre a decine di falchi di palude, poiane, gheppi e falchi pecchiaioli. Fra gli strigiformi 1 civetta, 2 gufi comuni, 1 gufo di palude e 2 barbagianni. A questi si aggiungono 1 cicogna nera, 1 cicogna bianca, 1 gru, 3 fenicotteri, 3 ibis sacri e 1 ibis eremita, uno degli uccelli più rari al mondo e oggetto di un progetto di reintroduzione in Italia, abbattuto puntualmente come ogni anno in provincia di Livorno.

"Ovviamente questa lista non è che la punta di un immenso iceberg: per un animale rinvenuto morto, altre centinaia vengono recuperate dai bracconieri o non vengono mai rinvenute" - riferisce Graziella Zavalloni, presidente della LAC. "E' un fatto però che i reati sono in aumento e che quest'anno il 78% siano stati commessi da cacciatori in possesso di licenza di caccia. Quegli stessi che amano dirsi sentinelle della natura, ma che poi nei boschi non indugiano a sparare ad animali rari e protetti".

In effetti ben il 78% dei reati venatori sono commessi durante la stagione di caccia e il 58% nei mesi di settembre, ottobre e novembre, ovvero quando gli uccelli che hanno nidificato in nord Europa attraversano l'Italia per raggiungere luoghi più caldi. In questi mesi i cacciatori e bracconieri si scatenano, abbattendo

- specie protette e particolarmente protette (32% dei reati),

- utilizzando trappole, reti, tagliole (18%, in aumento rispetto all'anno precedente),

- cacciando in parchi o aree protette (8%),

- ma soprattutto utilizzando i fonofil, ovvero i richiami acustici, spesso nascosti in semplici smartphone e cellulari, al fine di attrarre gli uccelli a portata di fucile e riempirsi i carnieri (18%).

Quest’ultima pratica, seppure in lieve diminuzione rispetto alla stagione precedente, è ancora estremamente diffusa, al punto che i richiami acustici vengono venduti comunemente nei negozi di caccia e sono pubblicizzati in tutte le riviste venatorie. Il 26 ottobre 2014 lo stesso presidente nazionale dell'"Associazione Nazionale Libera Caccia" è stato denunciato dalla Forestale perché sorpreso a cacciare con l'ausilio di un richiamo acustico: un chiaro esempio di quanto la legalità stia poco a cuore a tanti cacciatori, come i 1.241 denunciati o segnalati nell'anno appena trascorso.

Si devono sottolineare - a onor del vero - anche casi di opposta tendenza: un cacciatore che a Pisa ha salvato la vita a un lupo, vittima di avvelenamento e un secondo cacciatore di Caltanissetta, che dopo aver rinvenuto un picchio rosso maggiore abbattuto da un collega, ha tentato di salvarlo contattando il WWF.

Più censurabile invece il comportamento delle migliaia di cacciatori italiani che si recano all'estero per i viaggi venatori, interpretati come vere mattanze di migliaia di uccelli di specie protette e non. Sulla triste nomea di questi sparatutto fa luce un recente articolo pubblicato sul Newsweek

http://www.newsweek.com/2015/02/13/massacre-europes-songbirds-304716.html

in cui, prove alla mano, si imputa la responsabilità delle stragi di milioni di uccelli compiute in Serbia, Bosnia, Albania e Romania ai cacciatori italiani. Di queste stragi ne rimane una pallida evidenza nel nostro Calendario nei sequestri di carichi di uccelli provenienti dall'estero: i 200 uccellini sequestrati a un cacciatore sorpreso a Monaco mentre tentava di introdurre in Italia gli uccelli uccisi in Romania, le 11.000 cartucce sequestrate a un gruppo di cacciatori italiani in Romania, le 500 tortore sequestrate a tre cacciatori di ritorno dalla Grecia.

Sul territorio nazionale invece non sono da registrarsi grandi novità rispetto all'anno precedente. La provincia con maggiore attività di bracconaggio denunciato resta Brescia (12%), seguono Salerno (8%), Reggio Calabria (7%) e Cagliari, Ragusa, Caserta e Foggia con ciascuna al 4%. A livello regionale la Campania (18%) ruba il primo posto alla Lombardia (16%), seguita da Calabria (11%), Sicilia (10%), Puglia, Toscana e Sardegna.

Interessanti dati emergono anche sul fronte degli organi di vigilanza. Il più grande dinamismo nell'antibracconaggio è stato mostrato dalle guardie venatorie volontarie delle ONG italiane (CABS, ENPA, LAC, Legambiente, LIPU, WWF) la cui iniziativa ha portato alla denuncia di ben 546 persone (38%). Operazioni svolte dal Corpo Forestale dello Stato hanno contribuito per il 24% al totale delle denunce per bracconaggio, che diventano 33% se si aggiungono le 131 denunce realizzate dal NOA (lo speciale Nucleo Operativo Antibracconaggio del CFS). La Polizia Provinciale si attesta al terzo posto con il 18%, mentre un importante contributo è dato anche dall'Arma dei Carabinieri che - seppure non deputata ai controlli venatori - ha comunque denunciato 106 fra cacciatori e bracconieri.

Eppure la frequenza e l’intensità dei controlli non è evidentemente uniforme in tutte le province e le regioni: mentre vi sono amministrazioni che investono notevolmente sull’antibracconaggio, vi sono regioni intere dove i controlli sono scarsi o addirittura assenti. In molti casi delle due forze di polizia deputate al controllo della caccia - Corpo Forestale dello Stato e Polizia Provinciale - solo una si dedica ai controlli venatori, mentre l'altra non opera per nulla. E' il caso di Cosenza dove la Polizia Provinciale si adopera per denunciare decine di bracconieri, mentre il Corpo Forestale dello Stato nello stesso territorio contribuisce solo con il 14% all'antibracconaggio. In Sicilia, la metà delle denunce contro noti (49%) è fatta dalla Polizia Provinciale di Ragusa, l'unica Provinciale attiva in materia di caccia. Il resto delle denunce è dovuto ai Carabinieri (20%) e a due soli interventi del NOA (15 persone denunciate in 2 giorni, 13%). Che cosa fanno dunque in materia di caccia i Forestali del Corpo della Regione Sicilia? Ebbene si direbbe ben poco, se siamo a conoscenza di solo 21 denunce (18%) nel corso di un anno per l'intera regione. Situazione simile a Foggia, dove la Polizia Provinciale non si occupa affatto di caccia (2%), il CFS ha denunciato circa 20 persone in un anno (36%), e c'è voluto l'intervento di pochi giorni del NOA per arrivare a sventare l'illegalità e denunciare 34 cacciatori (62%).

Caso ancora più grave è quello di Livorno, una provincia in cui in un anno solo tre persone sono state denunciate per crimini di caccia. Non c'è quindi bracconaggio a Livorno? Al contratio, il Centro Recupero della LIPU riporta decine di rapaci sparati consegnati mensilmente, sul territorio si rinvengono comunemente lacci e veleno, oltre che lupi uccisi, e il responsabile del progetto Waldrapp ricorda come nel territorio di Livorno siano stati uccisi ben 4 ibis eremita negli ultimi anni. Lo stesso scrive: " La provincia di Livorno sembra essere un’area con un tasso di bracconaggio eccezionalmente elevato". Evidentemente se il bracconaggio c'è, quello che mancano sono i controlli adeguati.

Scarsità e poca uniformità dei controlli da una parte e un sistema giuridico/sanzionatorio che non funziona dall'altro sono la chiave per capire il perdurare del bracconaggio in Italia. D’altronde la grande maggioranza dei reati venatori sono oblazionabili, ovvero estinguibili con il pagamento di un’ammenda, e gli importi di queste ammende, stabiliti nel 1992, non sono mai stati aggiornati. I cacciatori in sostanza – come anche dichiarano pubblicamente nei loro forum – preferiscono bracconare e correre il rischio di pagare un’ammenda, piuttosto che attenersi alle regole e tornare a casa con poche prede legalmente abbattute.

Quando sempre gli stessi cacciatori (plurirecidivi) vengono sorpresi negli stessi luoghi ripetutamente a commettere reati, quando la vigilanza scopre i cacciatori con regolarità in un’area di divieto (Parco dell'Alta Murgia, Parco del Cilento, Parco della Sila e dell'Aspromonte), allora risulta evidente come un campanello d'allarme stia suonando per la tutela della biodiversità.