Omicidio Aloi: in appello chiesta condanna a 21 anni e mezzo

Catanzaro Cronaca

Una condanna a 21 anni e mezzo di reclusione è stata chiesta oggi dal sostituto procuratore generale di Catanzaro nell'ambito del processo d'appello a carico di Alfredo Trapasso, catanzarese di 31 anni, già condannato a 18 anni di reclusione, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e al risarcimento del danno alle parti civili per l'omicidio di Antonio Aloi, operaio 39enne ucciso con quattro colpi di pistola e poi dato alle fiamme all'interno di un casolare di Simeri Crichi (Catanzaro), dove venne ritrovato semicarbonizzato la sera di domenica 19 settembre 2010. Il pg, Salvatore Curcio, in particolare, ha chiesto alla Corte d'assise d'appello di Catanzaro (presidente Palma Talerico, consigliere Marco Petrini) di riconoscere a carico dell'imputato l'aggravante della premeditazione, esclusa in primo grado, ritenendola equivalente alle attenuanti generiche già riconosciutegli, così ricomputando la pena in 21 anni e 6 mesi. La parola è passata in seguito alle parti civili, prima del rinvio al 15 gennaio, quando sarà la volta delle arringhe degli avvocati Nicola Cantafora e Luigi Falcone, difensori di Trapasso.

La sentenza di primo grado a carico dell'imputato arrivò il 13 giugno del 2013, quando l'uomo fu riconosciuto colpevole dalla Corte d'assise di Catanzaro, presieduta dal giudice Giuseppe Neri (a latere Domenico Commodaro), che accolse solo parzialmente le richieste del pubblico ministero, Paolo Petrolo - il quale aveva chiesto per Trapasso una condanna a 30 anni di reclusione -, in virtù della concessione all'imputato delle attenuanti generiche e dell'esclusione dell'aggravante contestata. I giudici stabilirono a carico di Trapasso l'onere di risarcire i familiari della vittima - con somme da quantificarsi in sede civile -, corrispondendo intanto tre provvisionali da 50.000 euro ciascuno, una da 40.000 e una da 30.000 a moglie, figlie e sorella della vittima. Secondo quanto ricostruito dalla pubblica accusa e contestato all'imputato, sarebbe stato Trapasso a portare Aloi nel casolare incriminato, dove poi lo avrebbe ucciso con una calibro 7,65 e dato alle fiamme, che però non distrussero completamente il corpo, ne' il telefono cellulare della vittima, rinvenuto vicino al cadavere. Una settimana dopo il delitto, i carabinieri della Compagnia di Sellia Marina e del Reparto operativo provinciale di Catanzaro individuarono proprio Trapasso come il presunto assassino, ipotizzando che avesse agito per via di un regolamento di conti con la vittima, e che su disposizione del sostituto procuratore Petrolo fu sottoposto a fermo di indiziato di delitto.

L'imputato, tra le altre cose, presentava sul corpo delle ustioni secondo gli investigatori compatibili con l'accensione delle fiamme che dovevano distruggere le prove del delitto nel casolare di Simeri. Trapasso, per parte sua, rispondendo alle domande del giudice per le indagini preliminari che convalidò il fermo e dispose a suo carico la custodia cautelare in carcere - confermata dal tribunale del riesame il 4 novembre 2010 -, ammise di aver visto Aloi il giorno dell'omicidio, ma raccontò di essersi separato da lui molto prima dell'ora della morte, negando di aver avuto a che fare con quel brutale delitto. (AGI)